
Che fosse più inutile che necessario era scontato, per non tornare sul fatto che se un esecutivo per governare è costretto a rivolgersi all’esterno, testimonia sia l’incapacità e sia la mancanza di significato, visto che sta lì proprio per quello. Insomma a cosa servono, ministri, sottosegretari, i consiglieri che si portano appresso nei dicasteri, se poi la ricerca dei percorsi da seguire viene appaltata a chi nemmeno vive nel paese e viaggia per il mondo e per affari. Qui non si tratta infatti di qualche consiglio, del ricorso ad uno specialista per un tema particolare, si tratta di un piano di politica economica, sociale, industriale, che solo un governo dovrebbe fare assumendo su di sé la responsabilità dell’atto. Sia chiaro per certi versi nulla di nuovo, perché si sapeva quanto il governo Conte fosse abborracciato e composto da seconde file, un esecutivo insomma messo in piedi per tutt’altra ragione che salvare l’Italia e rilanciarla con un piano serio di riforme e soluzioni.
Si sapeva quando il virus non c’era, figuriamoci dopo che si è tragicamente manifestato, tanto è vero che passata una finanziaria già sbagliata, allo scoppio della pandemia siamo finiti dentro una follia di sbagli, ritardi, omissioni e gravissime limitazioni delle libertà personali. Per farla breve il ricorso ad una task force è stata una richiesta di soccorso da parte di chi non sapeva da dove cominciare per risollevare il paese, tranne le ricette di sinistra fritte e rifritte, tasse, statalismo, assistenzialismo, che storicamente ci hanno rovinato è basta. Ecco perché l’ingaggio di un gruppo di esterni è stato oltreché costoso, l’ammissione dell’impreparazione e uno schiaffo al contributo dell’opposizione che il capo dello stato aveva invece raccomandato. Ma il colmo dei colmi è risultato il fatto che, Absit iniuria verbis, il piano scodellato per la salvezza del paese, è un insieme di acqua calda reinventata e di sciocchezze tanto care alla sinistra e al mondo radical chic che la sostiene.
A partire dalla lotta all’uso del contante a favore del bancomat per garantire più che la lotta alla grande evasione che se ne buggera di questo, una mole di fatturato al sistema bancario che con le carte di credito ci straguadagna sopra. Del resto se fosse vero che a lasciare libero l’uso della moneta si favorisca l’illecito e il nero, bisognerebbe mettere al primo posto tra i paesi che reggono bordone all’evasione, gli Usa, la Germania e molti altri che consentono un uso illimitato del contante. Eppure in queste nazioni gli scambi e i pagamenti con carte di credito sono ai massimi livelli, dunque la verità è che non c’è conflitto né sospetto a lasciare libero l’uso del denaro incentivando contemporaneamente quello alternativo, altrimenti dovremmo mettere nella blacklist il resto del mondo. La realtà e che da noi se lasciassimo liberi i cittadini di scegliere come sarebbe giusto che fosse e come accade nelle democrazie vere, le banche guadagnerebbero molto meno di quanto potrebbero guadagnare obbligando la gente a utilizzare alcuni strumenti finanziari.
Lo stesso discorso che vale sulla spinta sfrenata alla digitalizzazione, che per carità in certi casi è utile, ma siamo sempre lì, conto è il sostegno e conto è l’obbligo, perché sia chiaro obbligare i cittadini ad un comportamento, ad uno stile, è l’esatto contrario di uno stato liberale. Come se non bastasse non ci voleva una task force per capire l’importanza di stimolare l’attività d’impresa, semplificando e sfoltendo fiscalità e burocrazia, la necessità di incrementare studio ricerca e formazione, salvaguardare e tutelare l’ambiente, rilanciare turismo e infrastrutture, fare del patrimonio artistico e culturale il brand di punta. Decenni or sono un grande ministro, Gianni De Michelis parlava già dei giacimenti culturali, il nostro petrolio, così come vent’anni fa Silvio Berlusconi tirò fuori la legge obiettivo per realizzare infrastrutture scavalcando la burocrazia e la sua follia, insomma il modello Genova è l’acqua calda. Come acqua calda è il groviglio della pubblica amministrazione, per la quale da una vita si parla di riforma e ci si è provato, da Franco Bassanini, a Sabino Cassese a Renato Brunetta, col risultato di trovarsi di fronte ad una sorta di lobby di stato potente e sfuggente grazie ai privilegi che i cattocomunisti le hanno costruito. Ecco perché prima dello Smart working bisognerebbe pensare ad un cutting system articolato che in realtà la sinistra ha sempre impedito visto che è un suo bacino di potere elettorale, come del resto tutto l’apparato leviatano che costa una pazzia e in larga parte danneggia la libera economia.
Per questo torniamo al punto di partenza, per ricostruire l’Italia e farla crescere serve un’altra politica, una conversione culturale in senso liberale, un progetto paese basato su un sistema che abbia una matrice alternativa al cattocomunismo statale, assistenziale, clientelare. Serve un taglio, una cesura del modello costruito ad hoc dalla Dc dal Pci prima e poi dalla sinistra che ha cambiato nome ma non cervello, per questo l’impianto è rimasto sempre quello da socialismo, statale, invadente, scoraggiante l’impresa, l’investimento, l’iniziativa libera e produttiva, la voglia di mettersi in proprio, crescere e occupare, la libertà di fare senza incocciare col fisco, la burocrazia e la giustizia che troppo spesso al posto dell’innocente aiuta il colpevole. Ci viene in mente Luigi Einaudi, il manifesto liberale, Piero Calamandrei, Guido De Ruggiero, Giovanni Amendola, ci viene in mente l’Italia che sarebbe stata se i cattocomunisti non l’avessero occupata, trasformata in un paese loro dove la cultura della libertà economica e dello sviluppo è pari a zero.
Aggiornato il 09 giugno 2020 alle ore 10:52