Un 2 giugno “retorica free”

La piazza della destra plurale nel giorno della festa della Repubblica avrebbe dovuto essere di testimonianza simbolica, un flash mob. Invece, si è trasformata in una manifestazione di protesta in carne viva contro il Governo delle sinistre. Non soltanto a Roma, ma anche in altre città d’Italia il tricolore è stato voce di popolo che non ci sta a guardare un’accolita di fanatici delle poltrone guidarci nella tempesta. Già, perché è questo il Conte bis: una cricca di politicanti con poche idee e confuse asserragliati nei Palazzi a governare un Paese che non li vuole, che non si riconosce nei loro progetti, nelle loro scelte insensate. Vale in parte per quelli del Partito democratico, ma ben di più vale per i grillini e per i renziani.

Chi sono costoro, cosa rappresentano, che ci fanno ancora alla guida di una nazione che un tempo era una potenza industriale, rispettata nel mondo? Ci stanno e ci restano perché qualcuno li tiene dove sono ma dove non dovrebbero stare, non rappresentando l’espressione maggioritaria della volontà popolare. L’Italia del politicamente corretto si è spellata le mani ad applaudire il discorso pronunciato dal presidente della Repubblica in occasione della festa del “2 giugno”. Vogliate perdonarci se non ci uniamo al coro degli entusiasti. Il capo dello Stato ha invocato l’unità morale della nazione nell’ora drammatica della crisi che l’ha colpita. Sarebbe un bel pensiero se non fosse che di morale in questa politica che trucca le carte della democrazia non vi è nulla.

Cosa c’è stato di morale in un premier che a reti unificate ha annunciato provvedimenti mirabolanti che nella realtà si sono rivelati parziali, fumosi, quando non fasulli? Dove è finita la morale quando da un’inchiesta giornalistica abbiamo appreso che magistrati sacrileghi brigavano per colpire il leader dell’opposizione con l’arma impropria della giustizia? E dov’era il senso morale dei media di regime nell’usare la contabilità del morti da Coronavirus per attaccare i governatori delle regioni del Nord amministrate dalla destra plurale? Era forse morale il comportamento di un Governo che accettava il voto favorevole dell’opposizione sullo scostamento di bilancio per spendere più denari in deficit salvo poi a sbatterle la porta in faccia quando si è trattato di accoglierne qualche proposta migliorativa dei provvedimenti legislativi presi a sostegno delle famiglie e delle imprese? Oggi la sinistra stigmatizza la manifestazione di piazza perché indispettita dalla presenza spontanea di tanti cittadini. Nei suoi desiderata, la destra plurale avrebbe dovuto starsene buona e tranquilla, autoconsegnatasi a un ruolo prettamente ornamentale. Come un ficus in salotto. Con il pretesto che assembrarsi in luoghi pubblici fa male alla salute, la destra avrebbe dovuto indossare il bavaglio al posto della mascherina.

Tale è il senso (morale) della libertà che praticano gli usurpatori della sovranità popolare. Ma talvolta accade, nei tornanti della Storia che restano scolpiti nella memoria collettiva, che il vento della contestazione soffi più forte delle brezze ruffiane che aleggiano sulle acque stagnanti del potere. Di là dalla pubblicità ingannevole degli abusivi della stanza dei bottoni, l’Italia è una pentola a pressione pronta a esplodere. Sta montando la rabbia sociale per l’infausto destino a cui la sinistra sta consegnando per viltà, incompetenza, mancanza di visione una parte importante della gente di questo Paese. Ogni giorno si apprende di imprese, commercianti, bottegai, artigiani che non alzeranno più la saracinesca. Una massa immensa di bravi, onesti, capaci lavoratori non avrà più di che campare. C’è un intero comparto produttivo, il turismo, che da secoli dà da vivere a milioni di italiani che non ripartirà come avrebbe dovuto e al quale il Governo non ha dato una risposta che fosse una per spingerlo a rimettersi in piedi. A meno che la miserabile paghetta di 600 euro elargita a macchia di leopardo non la si voglia spacciare per un sostegno alla ripresa.

I grillini questa cosa proprio non la capiscono. Loro pensano che la soluzione a tutti i problemi sia il Reddito di cittadinanza. Non è nelle loro facoltà cognitive contemplare la possibilità che la gente possa non desiderare l’elemosina di Stato ma voglia essere aiutata a sfruttare le proprie capacità e le proprie competenze nel mondo del lavoro e dell’impresa. Grazie allora alla destra plurale che non ha ascoltato le sirene spiaggiate sui colli romani ma ha tenuto il punto sulla presenza in piazza. L’Italia non è nuova al rischio di deflagrazione. Nell’ultimo decennio si è andati molto vicini alla rottura del patto sociale. Erano i tempi del Governo del “commissario” Mario Monti, dell’austerity imposta dai padroni del vapore europeo e delle intromissioni esterne nella politica nazionale. Se la situazione non precipitò fu anche grazie all’affermarsi del fenomeno Cinque stelle. Correttamente abbiamo dato atto a Beppe Grillo, benché nulla condividessimo delle sue parole d’ordine, di aver evitato il peggio. La sua discesa in campo servì a canalizzare la protesta sociale, prossima alla trasformazione in ribellione, verso una soluzione intra-istituzionale.

La presenza del simbolo pentastellato alle elezioni politiche del 2013 fornì uno sbocco parlamentare a una protesta disordinata che, in assenza di punti di riferimento nell’ambito della dialettica democratica, sarebbe scappata di mano con conseguenze disastrose per la tenuta dell’ordine pubblico. Oggi la storia si ripete con la decisiva differenza che i grillini non sono più i portavoce di un’Italia arrabbiata e desiderosa di cambiamenti radicali, ma sono diventati colpevolmente i servi sciocchi di quel potere che nei programmi rivoluzionari della prima ora avrebbero dovuto sbandellare dai suoi cardini marcescenti. È un bene che in strada vi sia la destra plurale a raccogliere la protesta per proteggere la democrazia dal rischio di trovarsi tra un mese o tra una stagione a fare i conti con pittoreschi capipopolo vestiti di inguardabili giacchette arancioni.

Dei personaggi da avanspettacolo oggi ci è ancora consentito di ridere, non riuscendo a prenderli sul serio. Ma, domani, con mezzo e più Paese alla fame, anche un pifferaio, che va in giro a raccontare che “questa pandemia è una boiata seguìto da qualche centinaio di creduloni, potrebbe essere scambiato per l’uomo della Provvidenza. E se domani i seguaci diventassero mille? E poi centomila, un milione? Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Antonio Tajani siano lungimiranti: si facciano cedere da Silvio Berlusconi i diritti di quell’allegro motivetto che fa “meno male che Silvio c’è”. Lo riscrivano in modo che suoni: “meno male che la destra c’è”. E comincino a cantarlo in coro. Finché si è ancora in tempo.

Aggiornato il 03 giugno 2020 alle ore 10:51