Belle e toccanti le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per celebrare l’anniversario dell’assassinio di Walter Tobagi. Ma proprio perché importanti e, soprattutto, pronunciate dalla massima cattedra istituzionale del Paese, le frasi del Capo dello Stato sembrano alimentare la convinzione, che si rinnova ad ogni anniversario della infame e vigliacca uccisione del giornalista del Corriere della Sera, che il cosiddetto “caso Tobagi” rappresenti una occasione di verità non colta volutamente dalla cultura e dalla politica del nostro Paese.
L’operazione-verità compiuta nei confronti della mafia, realizzata negli anni attraverso le denunce delle connessioni e dell’intreccio di interessi tra fenomeno mafioso e pezzi di potere politico locale e nazionale, non è mai stata realizzata nei confronti del terrorismo brigatista degli anni di piombo. Il caso Tobagi avrebbe dovuto rappresentare l’occasione per indagare e capire compiutamente perché mai dalla fine degli anni ’60 una parte importante della società italiana si convinse non solo che il momento della rivoluzione proletaria fosse ormai imminente ma, soprattutto, che fosse irreversibile e dovesse essere sostenuto e favorito con la massima energia possibile. Quella opportunità, persa nel momento della morte di Tobagi per via del coinvolgimento di una parte importante della società nazionale nell’enfasi prerivoluzionaria, non è mai più stata sfruttata, lasciando che il terrorismo, con le sue dinamiche e le sue connessioni alla società, venisse inghiottito da un buco nero che non può essere colmato solo dalle parole autorevoli e di pregio ma unicamente da una serie di studi seri ed approfonditi sulle cause profonde di un terrorismo ideologico che potrebbe riaffiorare con la stessa virulenza del passato in occasione di nuove e più forti tensioni sociali e politiche.
Non è in gioco la volontà di saldare i conti con i “cattivi maestri” del terrorismo di vario colore dell’epoca. Ma solo l’improrogabile urgenza di mettere a nudo contiguità, connessioni e motivazioni di un consenso che per quanto negato ufficialmente, è esistito ed ha esercitato un peso non indifferente sulla storia della democrazia repubblicana nazionale.
Tobagi non era alternativo ed antagonista dei terroristi, ma era scomodo ed insopportabile all’area di chi ad essi era contiguo con il proprio consenso e sostegno intellettuale. Chi ha vissuto quegli anni ed ha conosciuto e condiviso le posizioni del giornalista del Corriere della Sera lo sa. Ed ha il dovere di chiudere l’operazione-verità per scongiurare il rischio di una tragica riproposizione degli errori di allora!
Aggiornato il 29 maggio 2020 alle ore 10:47