E, tuttavia, io non cambierò idea, continuerò a credere che la maggior parte dei magistrati non sia (non è) come Luca Palamara e che l’avversione politica non determina il risultato dei processi.
Ma non posso dimenticare che tutto questo è accaduto e accade ancora. Non posso dimenticare ciò che è accaduto nei ultimi 50 anni, la via giudiziaria alla conquista del potere, le Frattocchie e neppure – sull’altro fronte – la compiacenza ai potenti.
Un tempo, dicevano che sotto la targhetta posta sull’uscio dei sostituti del Procuratore della Repubblica di Roma era scritto il nome del politico di riferimento. “Porto delle nebbie” era la definizione di alcuni uffici giudiziari, mentre altri erano chiamati “Corte dei miracoli”. Due facce della stessa medaglia. Due epifanie di una visione strategica volta ad assumere rilievo (condizionante) nei confronti di un sistema politico, protetto o avversato.
Siamo ancora qui. I messaggi di Palamara dimostrano che non è cambiato nulla e che, probabilmente, nulla potrà cambiare.
Mentre Emma Bonino, con la forza della ragione, richiama noi tutti ai principi della civiltà e della democrazia, qualcuno (pochi, per la verità, ma investititi di cariche e ruoli importanti e seguiti da colleghi troppo spesso colpevolmente inconsapevoli) gioca una partita politica con le armi della Giustizia. Una vera e propria guerra asimmetrica, nella quale vince, come diceva Georges Clemenceau, chi detiene il “mandato di cattura”.
Ricordare il calvario di Silvio Berlusconi – odiatissimo, ma colpito oltre misura – non serve a nulla. Per rendersi conto della gravità del problema, bisogna indirizzare la mente ai tanti signor nessuno macinati da una macchina che sembra volersi ritagliare un ruolo di primo piano sul palcoscenico della politica e, nel frattempo, riafferma la propria forza – la terribilità di cui si parla – verso i deboli, come se volesse trasmettere forte e chiaro il messaggio “qui comandiamo noi”.
In momenti come questo, rimpiango Francesco Cossiga e confido che il Capo dello Stato voglia intervenire. Matteo Salvini, come chiunque altro, ha diritto ad un processo giusto.
Dopo quello che ho letto, ho dei seri dubbi. Dissi fin da subito che l’imputazione era infondata, ma, ciononostante, ammettevo che la si potesse pensare diversamente. Scoprire che Salvini doveva essere a tutti i costi attaccato è sconsolante, anzi, è terribile, perché, comunque vada, penserò che il giudizio sia guidato da ragioni metagiuridiche.
Complimenti, signor Palamara. Complimenti davvero, per il danno che ha causato ai suoi Colleghi, alla Giustizia e a noi tutti.
Aggiornato il 22 maggio 2020 alle ore 18:30