Un decreto, l’ennesimo, di 464 pagine per 268 articoli, oltre a rientrare nella logica di un’antipolitica di un Giuseppe Conte originato da Beppe Grillo nel mai scemato disprezzo del Parlamento è, per ironia della sorte, il simbolo della estrema debolezza del Premier e al tempo stesso la conferma di una irreversibile crisi pentastellata dopo l’ennesima sconfitta.
In effetti e già nel titolo dal sapore vagamente comico, quest’ultima performance contiana – con tanto di conferenza stampa in diretta nell’ora di punta televisiva – ne ha confermato i difetti strutturali come cultura politica e immaturità istituzionale per l’incapacità di incidere sui problemi navigando tra le posizioni, inconciliabili – come s’è visto proprio nell’immane paginata decretizia – dei partiti che lo sostengono alla ricerca della solita, snervante mediazione ma senza offrire una propria visione d’insieme nella prospettazione di soluzioni ispirate a progetti e programmi tanto fattivi quanto urgenti per un futuro italiano che è già cominciato.
L’impegno principale profuso da Conte è stato quello di una visibilità funzionale alla propria immagine pubblica nella fase dell’emergenza, ma adesso che è scoccata l’ora della ricostruzione quelle debolezze di fondo politico-culturali sono per lui un fardello pesante nella misura in cui sono rese più visibili le inconciliabili posizioni spiccatamente politiche che ostacolano una obbligata sintesi fra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, resa ancora più problematica dalle lacerazioni interne pentastellate sulle quali Conte vorrebbe volare alto pur recando su se stesso il marchio d’origine del partito che lo ha indicato per Palazzo Chigi.
E ora appare una sorta di nemesi questa retrocessione, dalle cime tempestose degli anni della demagogia antipartito e delle sommergenti ondate populiste, alla terrena presa d’atto di una incapacità cultural-politica mascherata da un rivoluzionarismo d’avanspettacolo.
Non a caso questi ultimissimi sussulti plaudenti al decretone da un Vito Crimi che parla di vittoria appartengono a quegli spettacolini messi in piedi pour épater le bourgeois in cui la finzione vorrebbe camuffare una verità che parla, invece, di una cocente sconfitta, come era già accaduto con la Tav ed ora col reddito di emergenza-cittadinanza, la regolarizzazione di lavoratori in nero e di migranti, il taglio dell’Irap; battaglie su cui erano state issate le bandierine da difendere perinde ac cadaver.
E si comprendono le preoccupazioni di qualche loro parlamentare, con l’aspetto di un pugile suonato, guardando alle due scadenze d’aula: la mozione contro Alfonso Bonafede il 20 di maggio e il dibattito con voto finale sul Mes previsto alla fine di questo mese.
Aggiornato il 18 maggio 2020 alle ore 09:56