Marco Pannella, il Novecento politico italiano

Parlare oggi di Marco Pannella, a cavallo del periodo in cui avrebbe compiuto 90 anni, cioè il 2 maggio scorso, equivale a rievocare quasi un secolo di grande politica italiana a cavallo tra un millennio e quello che lo segue. Se ci potesse essere un aggettivo per definire un uomo che era tutto un sostantivo si potrebbe usare questo: “Risorgimentale”. Pannella ha rappresentato e tuttora rappresenta l’unico vero moto culturale e politico che tiene unita l’Italia: il Risorgimento. Certo i comunisti – e uguali e contrari anche i fascisti – credono che la Costituzione sia il frutto della lotta di resistenza partigiana, che in realtà fu ben poca cosa, specie quella comunista, al netto persino delle nefandezze denunciate negli imperdibili libri del compianto Giampaolo Pansa. Anche perché l’Italia fu liberata dagli anglo americani. Ma per fortuna la nostra Carta fondamentale risente soprattutto degli influssi politici del Risorgimento socialista e liberale, con qualche concessione di compromesso alle masse cattoliche e a quelle comuniste.

Tipo autodefinirci una repubblica che si fonda sul lavoro e che per paradosso vive di disoccupazione, assistenzialismo e piccoli espedienti in nero da molto più di un quarto di secolo. Pannella in tutto ciò ha nuotato sempre come un pesce nel mare sbagliato e non è stato profeta in patria. Le sue conquiste e le sue battaglie ancora in essere sui diritti civili – divorzio, aborto, libertà di autodeterminazione e anti-proibizionismo – sono state sempre avversate da quei partiti che dicevano di rappresentare le masse e che invece oggi come ieri le hanno sempre disinformate e guidate attraverso la menzogna, la disonestà intellettuale e la mistificazione. Non a caso l’ultima grande battaglia di Marco fu proprio quella per la conoscenza che ci rende liberi in quanto consapevoli. Battaglia che portò come sempre anche a livello mondiale.

Era l’uomo più amato della politica italiana, il più disinteressato, l’unico che non si è mai arricchito – anzi negli ultimi anni per finanziare il partito radicale si era persino venduto la casa avita suscitando non poche perplessità nella sorella – e l’unico che non si è mai fatto bello con quella bellezza che solo la politica vera possiede. Eppure il meno votato da un popolo di conformisti che non ha ancora conquistato l’immunità di gregge dalle menzogne dei politicanti. Il lato umano e privato di Pannella era tanto più bello in quanto comunque non prescindeva mai da quello politico. A Radio radicale proprio il 2 maggio – data del suo compleanno – si sono susseguiti interventi di chi lo ha amato e conosciuto e persino di chi in vita lo ha avversato anche con metodi per niente ortodossi. Gli uomini che sono riusciti a tenerlo lontano dalla comunicazione del servizio pubblico, o che in tal senso hanno semplicemente obbedito a ordini superiori della politica – usando per se stessi quello stesso giustificazionismo che non funzionò per i gerarchi nazisti a Norimberga – ora lo rimpiangono. E il bello è che non sono ipocriti. Non fanno finta.

Sono in parte sommersi dal loro senso di colpa per avere avvelenato la vita di un uomo, di un partito e di un pensiero che hanno dato all’Italia in termini di consapevolezza quello che loro non sarebbero mai riusciti a dare. A causa della loro viltà, del loro conformismo ottuso, del loro opportunismo e del loro arrivismo. Che vanno bene per i politicanti ma non per gli statisti. E lo rimpiangono doppiamente perché avendolo tenuto lontano dai centri decisionali della vita pubblica, a costo di corrompere e segare l’albero su cui stavano seduti, adesso si ritrovano con il culo per terra e circondati dalla marmaglia infame dell’anti politica e del giustizialismo manettaro. E non ci sta più neanche un idealista come lui a difenderli. Così a novanta anni da quel 2 maggio 1930 a rimpiangere Marco Pannella ci sono coloro che lo hanno amato profondamente – e ci si mette anche chi scrive – e anche coloro che lo hanno odiato più come nemico che come avversario politico. Purtroppo però, ci sono oggi anche gli indifferenti, quelli che lui paventava di più, i “nati ieri” della politica che si sono formati ai tempi delle monetine contro Bettino Craxi o delle cagnare di piazza tra girotondi e pseudo-femministe scandalizzate per le escort di Silvio Berlusconi.

Insomma i cosiddetti populisti, di destra, di sinistra e di centro. Quella gente che ci troviamo al governo adesso con la preparazione umana e politica che constatiamo giorno dopo giorno. Persone che hanno orecchiato le mode di piazza e che ritengono che la storia d’Italia sia nata con loro, mentre con loro sta morendo. Ecco tutti questi ceffi, che ci opprimono dai social, dalla tivù e da quant’altro, non li abbiamo visti commemorare il novantesimo anniversario della nascita di questo gigante del secolo. E non li vedremo nemmeno fra dieci anni a commemorare i cento anni. La speranza per gli italiani e di non vederli presto mai più nella vita politica di un Paese che con tutti i suoi difetti certamente non li merita.

Aggiornato il 04 maggio 2020 alle ore 14:24