Conte: dimmi come parli e ti dirò chi sei

La verità, quella vera, è che Giuseppe Conte non sa parlare.

Il suo linguaggio ripete gli schemi semplicistici dei suoi mandanti e, inconsapevolmente, cela un’aspirazione al dirigismo incompatibile con una Repubblica parlamentare.

Qualcuno dirà che il giudizio – condiviso da Sabino Cassese, che non è l’ultimo arrivato in subiecta materia – non trova conforto in altri giuristi, altrettanto valorosi e competenti.

Sono sorpreso. Quegli stessi giuristi, non più tardi di qualche anno fa, rivolgevano le stesse critiche a Silvio Berlusconi, accusato di autocompiacimento linguistico a buon mercato al precipuo scopo di ammaliare l’elettorato. Quello stesso Berlusconi, però, che, pur con tutti i limiti del suo egocentrismo, inneggiava alla libertà ogni tre per due.

In ogni caso, il minimo comune denominatore è sempre quello: carpire consenso scatenando emozioni, mediante la ricerca spasmodica di un’empatia che surroga la ragione.

Dicevamo a Berlusconi che il Parlamento non è l’assemblea degli azionisti del Governo e che lui non era il detentore della golden share. A Conte diciamo qualche cosa di più e di diverso: il Parlamento esiste, nonostante tutto.

Quelle miserrime locuzioni , “consentiamo, permettiamo, vietiamo”, sono il sintomo di una intollerabile povertà di linguaggio. Purtroppo, rivelano anche la pochezza del pensiero di chi, prima di ogni altra cosa, dovrebbe sempre ricordare che gli unici vincoli, obblighi, doveri, divieti ai quali un cittadino deve adeguarsi (fatta eccezione per i provvedimenti impartiti dal giudice, che è la bouche de la loi) sono quelli che provengono dalla legge e che, per il solo fatto di essere deliberati dal sovrano “mediato”, si presumono condivisi dall’intera comunità nazionale.

Dimmi come parli. Ti dirò chi sei.

Aggiornato il 28 aprile 2020 alle ore 11:49