Nelle tonnellate di parole che ogni giorno, provenendo da giornali, riviste, televisioni, messaggi, inondano la nostra mente, soprattutto in tempo di pandemia, quando minore è la possibilità di sottrarsi semplicemente fuggendo via, non poche purtroppo esprimono sesquipedali scempiaggini, alle quali appunto non facilmente si può scampare e che perciò mi irritano moltissimo, ma nello stesso tempo – stranamente – mi attraggono. Mi attraggono perché come esiste – secondo il titolo dell’aureo saggio di Johann Rosenkranz – una “estetica del brutto”, così esiste una “estetica della stupidità”.
Quando la stupidità tocca vertici, per dir così, assoluti, finisce con l’esercitare su di me una sorta di attrazione che non saprei definire se non appunto “estetica”, simile a quella esercitata dalla più sublime intelligenza: ne rimango quasi affascinato, come ammirato – indegno emulo di Thomas Mann – da tanta perfezione (esiste anche, dobbiamo ammetterlo, una perfezione della stupidità). Si pensi a certe affermazioni presenti sui cosiddetta “social” e che vengono ripetute e diffuse come fossero sensazionali scoperte (per esempio, “domani è un altro giorno!”), mentre non sono che il distillato della più genuina e sconfortante banalità elevata all’ennesima potenza. Infatti, la stupidità è molto potente, al punto che Friedrich Schiller si spinse a riconoscere che “contro la stupidità gli stessi Dei combattono invano”, anche perché mentre il delinquente sa di esserlo, lo stupido irraggia verso il prossimo la propria stupidità senza rendersene conto, con perfetta e pericolosa innocenza.
Un esempio di questi giorni, a suo modo emblematico. Da molti versanti della carta stampata, dei mezzi televisivi, delle riviste più o meno specializzate, perfino – e questo mi pare ancor più gravemente significativo – dagli inserti culturali alla moda non si fa che ripetere la medesima solfa ormai davvero inascoltabile: e cioè che mentre prima la nostra civiltà si riteneva onnipotente, inscalfibile, inattaccabile, ora, dopo la pandemia planetaria – e soltanto grazie ad essa – avremmo scoperto la nostra fragilità, il nostro bisogno di protezione, saremmo tornati umani. Insomma, quasi dovremmo esser grati alla pandemia che ci ha permesso questo ritorno alle origini.
Ma davvero? Basta percorrere i primi passi sul normale cammino del pensiero, per scorgere in questa affermazione il distillato della stupidità contemporanea, in una delle sue forme più accattivanti, quella giornalistico-culturale, che qui va letta ovviamente col “pseudo” quale prefisso: “pseudo-giornalistico-culturale”. Ed invero, chi mai ha davvero ipotizzato, fino al febbraio scorso, che la nostra civiltà umana fosse davvero onnipotente ed inattaccabile? Nessuno che fosse appena dotato del minimo del pensiero critico ha mai davvero immaginato una scempiaggine del genere: soltanto degli stupidi potranno aver partorito questa convinzione. Non occorre certo dar vita a conturbanti elucubrazioni pseudo-filosofiche da parte degli intellettuali alla moda – cosa che purtroppo avviene invece negli ormai illeggibili inserti culturali dei grandi quotidiani italiani, infarciti di paginate e paginate dedicate a simili sesquipedali sciocchezze – per cogliere immediatamente la profonda e direi quasi sublime stupidità di simili affermazioni.
Abbiamo forse trovato finalmente una efficace terapia contro le neoplasie più perniciose? No. Abbiamo forse trovato come sfamare i tre miliardi di esseri umani che letteralmente non hanno nulla da mangiare? No. Abbiamo capito con sufficiente certezza cosa diavolo si celi dietro i “buchi neri” che popolano l’universo? Sappiamo rispondere con sufficiente certezza agli interrogativi morali in tema di suicidio assistito o di eutanasia? No. Mi fermo qui, ma potrei continuare con domande del genere per le prossime seicento pagine almeno.
E allora? Chi, di fronte a domande di questo tipo, alle quali non sapevamo rispondere neppure prima del manifestarsi della pandemia, potrebbe sentirsi – appunto in mancanza di possibili risposte – appartenente ad una civiltà ormai onnipotente ed inattaccabile? Soltanto gli stupidi, nessun altro che non lo fosse. E qui devo riconoscere – memore della brillante lezione del compianto Carlo Cipolla che dedicò al problema della stupidità un breve ed intelligentissimo saggio – che il numero degli stupidi non solo è molto più grande di quanto si sia portati ad immaginare, ma è reperibile dappertutto, presso ogni classe sociale: la stupidità alligna ovunque, fra giovani e vecchi, fra uomini e donne, fra ricchi e poveri, fra docenti universitari ( come dimenticare l’aforisma di Anton Čechov, per il quale “l’Università sviluppa tutte le doti dell’uomo, fra le quali la stupidità?”) e semianalfabeti. La stupidità è altamente democratica e per questo altamente pericolosa e perfino contagiosa, come dimostra il proliferare di argomenti del genere sulle pagine “culturali” dei giornali, che li affrontano col cipiglio e la seriosità che andrebbero riservati invece agli argomenti non stupidi, ammesso che fossero in grado di scorgerli.
Il fenomeno odierno, da me denunciato, si presenta perciò così: si tratta di stupidi che parlano ad altri stupidi. La sola differenza sta nel fatto che i primi scrivono e i secondi leggono. Sicché, ridotto quasi alla disperazione, invito – quale efficace antidoto alla stupidità – a trovar rifugio nella intelligenza di Oscar Wilde, per il quale dal momento che “viviamo in un’epoca in cui soltanto gli ottusi vengono presi sul serio, vivo nel terrore di non esser frainteso”.
Aggiornato il 27 aprile 2020 alle ore 11:49