La gabbia della democrazia

Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera di ieri (La ripresa e i suoi quattro nemici), indica gli ostacoli alla ripresa in quattro fattori: lo spirito di fazione, la tentazione statalista, la gabbia burocratica ed il panpenalismo.

Mi verrebbe da dire che questi non sono i nemici della ripresa, ma i soliti noti che ci ammorbano la vita da sempre. Sono i nemici dello sviluppo, quelli che ci zavorrano ab immemorabile e ci impediscono di affacciarci davvero alla modernità, iscrivendoci all’albo dei Paesi liberi e civili.

Aggiungerei, poi, che – come dicono i francesi – tout se tient: l’atavica faziosità si esprime – a seconda dei risultati elettorali – in una concezione dello Stato di stampo feudale, amministrato da una macchina burocratica sempre più incrostata, farraginosa, improduttiva e costosa. Il panpenalismo, ultimogenito di questa famigliola, altro non è che la metamorfosi del potere assoluto, incarnatosi sotto le mentite spoglie del controllo di legalità in un contesto nel quale sono previsti i sudditi in luogo dei cittadini.

Un bel quadro, senza dubbio. La gabbia della democrazia, pensandoci meglio.

A Panebianco, tuttavia, vorrei fare osservare una cosa. Panpenalismo è un concetto insufficiente, che descrive la conseguenza, ma non costituisce la causa. Il panpenalismo è il prodotto di un fattore più ampio, le cui origini devono essere ricercate nel testo della Costituzione. In altri termini, il panpenalismo da solo non esaurisce il rischio segnalato da Panebianco, ma ne rappresenta soltanto la più insidiosa tra le epifanie.

Mi spiego meglio. Non vorrei che, presi come siamo dalla critica alle esondazioni della magistratura penale, ci dimenticassimo del Tar del Lazio, che senza ammanettare nessuno blocca provvedimenti amministrativi di ampio respiro; non vorrei, poi, che trascurassimo alcuni curiosi provvedimenti della magistratura civile, per non parlare di quella minorile. Insomma: chiunque sia investito, a qualunque titolo, di funzioni giudiziarie dispone di un potere di interdizione che, nel concreto, diventa un potere di veto.

Non è ancora tutto. L’acquisita consapevolezza della reale portata di questo potere, come se non bastasse, si è darwinianamente evoluta nella pretesa di legittimazione della normogenesi giudiziaria.

Il giudice non è (più) soggetto soltanto alla legge, ma, da interprete, se ne fa autore, manipolandola, modificandola, integrandola o abrogandola di fatto.

Il panpenalismo, in questo quadro, è la prima linea di una force de frappe potente e ben organizzata. Praticamente invincibile.

E siamo al dunque. Invincibile perché trae la linfa vitale da una Costituzione che assoggetta tutto – ma proprio tutto – al controllo della giurisdizione. Piaccia o no, le cose stanno così.

Le Procure sono come i Navy Seals. Dietro di loro, però, c’è un esercito compatto e ben addestrato.

Aggiornato il 16 aprile 2020 alle ore 13:15