Abbasso l’Ue? ma per l’Italia non c’è alternativa

La catastrofe comunicativa delle istituzioni europee ha creato in Italia una pericolosa ventata di antieuropeismo popolare, che i successivi sostanziali interventi dell’Ue e della Bce, ora molto favorevoli all’Italia, passano quasi sotto silenzio e non riescono a compensare. L’Ue sta ora contribuendo in maniera sostanziale e senza precedenti ad aiutare l’Italia sia sul piano sanitario, sia su quello economico, ma gli italiani, colpiti da gaffe ed esitazioni della prima ora, restano molto incazzati “con l’Europa matrigna”. Molti sindaci ammainano le bandiere europee. Molti politici alimentano irresponsabilmente il furore antieuropeo. I ‘social’ rigurgitano di invettive anti-Ue. Molti intellettuali, analisti e giornalisti conformisti, come al solito, seguono la corrente, come usa fare “l’intendenza”. Le istituzioni europee non sono mai state così impopolari come in questi giorni in Italia. Sul piano dell’immagine e dei simboli, la ventata ha delle giustificazioni. Ma non le ha sul piano dei fatti e del realismo politico.

È innegabile che l’Unione europea non abbia compiuto alcun vero grande gesto, plateale e simbolico, che rincuorasse gli italiani nel momento della tragedia e del bisogno, lasciando la scena mediatica della solidarietà, complice il ministro Luigi Di Maio, alla carità non del tutto disinteressata di Cina e Russia. A causa dell’iniziale incredibile blocco delle esportazioni di mascherine e dispositivi medici da parte di Germania e Francia, sono poi passate sotto silenzio nei media italiani le successive spedizioni dei paesi europei, benché superiori in quantità a quelle di Cina e Russia. La Germania ha inviato un milione di mascherine. La Francia altrettante mascherine e 20 mila tute protettive. L’Austria ha inviato 1,2 milioni di mascherine. La Repubblica ceca 5 mila tute protettive. Il governo tedesco ha messo a disposizione i suoi ospedali ed un Airbus militare “Medivac” per trasportare in Germani pazienti italiani. E si potrebbe continuare. Il risultato delle iniziali incredibili esitazioni burocratiche francesi e tedesche è stato che sono andate alle stelle le esaltazioni per Cina e Russia e alla stalle le considerazioni per i partner europei.

Èrestato nella memoria nazionale il ricordo delle inopinate dichiarazioni di alcune esponenti europee; dichiarazioni infelicissime più per i toni ed il contesto che per il loro contenuto. Basti pensare alla presidente della Bce, Christine Lagarde che dichiara allegramente “non sto qui per ridurre lo spread italiano”; e alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen che dichiara “i Coronabond sono fuori discussione”. È stata una vera débâcle comunicativa quella dell’Ue nel suo complesso. Il risultato è una narrazione che vede i paesi europei negare solidarietà ed empatia all’Italia nel momento del bisogno. È una narrazione fuorviante perché rimuove fatti molto consistenti e può portare a scelte e ad esiti catastrofici.

Al centro di questa narrazione c’è la questione dei Coronabond, che i paesi nordici stanno – almeno per ora – negando all’Italia e ad altri paesi, tra cui la Francia che li hanno chiesti. Bisogna però considerare che i Coronabond sono una scelta politicamente molto difficile per la Germania e gli stati nordici. Essi sarebbero in sostanza titoli emessi in nome di tutti i paesi europei che si indebiterebbero a favore di un partner europeo in difficoltà finanziarie a causa dell’epidemia. La Germania, l’Olanda ed altri paesi nordici temono che i Coronabond (per finalità limitate all’emergenza del virus) possano aprire la strada agli Eurobond, che significherebbero una condivisione del debito. Quella degli Eurobond è una vecchia diatriba interna all’Ue che si inserisce sulla pluridecennale polemica tra paesi nordici virtuosi, austeri risparmiatori (le “formiche”) e paesi meridionali scialacquatori e imprevidenti (le “cicale”) che dopo aver fatto spese e debiti sconsiderati pretenderebbero di condividere i loro debiti con i paesi virtuosi. Paradossalmente proprio questa vecchia polemica tra partner dell’Ue ostacola la solidarietà anche nel caso emergenziale dell’epidemia.

Bisogna tenere conto anche del fatto che il Welfare di molti stati nordici non è generoso come quello italiano. Il sistema previdenziale tedesco lo è sicuramente meno specie dopo la graziosa concessione di quota 100. Inoltre è diffusa in quei paesi la convinzione che i politici e i burocrati italiani (tra cui i magistrati) godano di stipendi favolosi di molto superiori ai loro colleghi e omologhi nordici e tedeschi. Il che inasprisce un certo astio del protestante virtuoso verso il gaudente meridionale che vive al di sopra delle sue risorse e a debito e che pretende di fare pagare ad altri il suo debito col “pretesto” dell’epidemia. Per tutto questo la solidarietà europea sta cercando altre strade diverse dai Coronabond. Il primo di aprile la presidente della Commissione, Von der Leyen ha annunciato un’iniziativa per finanziare le misure di sostegno al reddito e ha annunciato una modifica rafforzativa al bilancio Ue 2021-2027, per finanziare la ripresa dei paesi colpiti dall’epidemia. Ma l’annuncio ha avuto poco effetto sulla percezione popolare diffusa. Ma c’è un altro fatto molto rilevante che governo e analisti italiani dovrebbero pubblicizzare di più e valutare nella sua reale portata.

Il fatto è che la Bce, nonostante l’infelice dichiarazione della sua presidente, Lagarde, sta ora aiutando l’Italia in modo massiccio. Si è impegnata ad acquistare entro fine d’anno titoli di stato italiano per 220 miliardi di miliardi di euro (il 12 per cento del Pil, mica bazzecole) lasciando aperta la porta per ulteriori acquisti se ciò non bastasse. Cosa si vuole di più? La solidarietà europea si manifesterà senz’altro anche in qualche altra forma. I nostri partner europei – solidali o no, generosi o no – sanno bene che un fallimento dell’Italia, dell’euro e dell’Ue, provocherebbe la catastrofe dell’ordine internazionale e dell’economia mondiale. Resta il fatto che l’Italia non potrebbe trovare altrove che nell’Ue una solidarietà altrettanto efficace.

Dove altro l’Italia potrebbe trovare in questo momento un aiuto di questa grandezza se non in Europa? Forse in Cina o in Russia? Non scherziamo col fuoco. Ciò comporterebbe prezzi molto elevati in termini di stabilità della collocazione internazionale dellItalia che solo l’insipienza del dilettante alla Farnesina può sottovalutare. Vogliamo forse provare – per dirla con Dante – “come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”? O forse c’è chi è disposto a cavalcare i diffusi sentimenti antieuropei per portare il paese verso l’avventura e la catastrofe di un’uscita dall’euro e dall’Ue, come talvolta si sente, sermoneggiare da improbabili statisti e da economisti improvvisati? Gli esiti – vogliamo ricordarlo– sarebbero di tipo sudamericano: iperinflazione ed ipersvalutazione, con tutto quello che esse implicherebbero sul piano economico e politico.

Gli italiani devono rendersi conto della necessità di superare un pregiudizio sfavorevole e una sfiducia non del tutto ingiustificata che gli altri europei nutrono nei confronti dell’Italia nel suo complesso a causa dei governi italiani che negli ultimi decenni, mentre gli altri paesi europei facevano riforme e risanavano economia e conti, hanno fatto esplodere un debito pubblico sempre sul crinale della insostenibilità e non hanno mai realizzato le dolorose riforme e i necessari risanamenti della spesa pubblica. I partner europei tendono a porre perciò condizioni e insistono sulla condizionalità degli aiuti perché temono che l’Italia continui a non risolvere i suoi problemi strutturali e resti per sempre il “malato d’Europa” da soccorrere. Che ciò non continui è anche un interesse dei cittadini italiani per cui è autolesionista l’orgogliosa levata di scudi nazionalista contro i partner europei, tout court. La condizionalità europea potrebbe cadere o attenuarsi sensibilmente solo se l’Italia si dotasse di un governo di professionisti e di statisti che fornisse garanzie di spendere gli aiuti europei non per ragioni elettorali, ma per tappare le falle e riparare la nave Italia. E anche questo è interesse degli italiani.

Aggiornato il 02 aprile 2020 alle ore 11:38