Avvocati e obiezione di coscienza

Gli avvocati italiani sono molti, forse troppi. Ed è perciò fisiologico che, fra tanti, si ritrovi qualcuno, per dir così, un poco originale, capace di prese di posizione tanto incomprensibili quanto sgangherate. Forse questo è il caso recentissimo di una avvocata napoletana, ma bergamasca di origine, Carmen Posillipo (dotata di un cognome che l’avrebbe fatta intendere, al contrario, di convalidate origini napoletane), la quale, in un empito di trasparenza, ha dichiarato che farà obiezione di coscienza nei confronti di coloro che fossero accusati di trasgressione dei decreti governativi sull’obbligo di rimanere in casa: in altre e più chiare parole, la Posillipo non li difenderà.

L’avvocata napoletana ha spiegato che ritiene troppo grave l’illecito in questione, troppo dannoso per la collettività, perché possa spingersi al punto di difenderli: la sua coscienza glielo impedisce in modo categorico. Da qui, l’obiezione, resa di pubblico dominio. Orbene, siamo proprio sicuri che la scelta adottata dalla Posillipo sia una scelta secondo coscienza, mentre quella di difenderli sarebbe stata addirittura contro la coscienza? Ne dubito molto e spiego in che senso. Innanzitutto, occorre sgombrare il campo da un possibile e fuorviante equivoco, peraltro abbastanza diffuso e che risiede nel ritenere che ogni essere umano, di coscienze, ne abbia addirittura due, ciascuna indipendente dall’altra e pronta all’uso.

Fatto assai strano in un’epoca come la nostra, segnata casomai dall’eclissi della coscienza – da molti ormai assunta come una sorta di leit-motiv – ma proprio per questo da evidenziare (forse perché affermare di avere più di una coscienza equivale a non averne nessuna?). Intendo alludere alla prassi consolidata secondo la quale molti fra – per esempio i politici o i professionisti – son soliti rivendicare una duplice coscienza: una, come quella di tutti gli altri, quale essere umano e una, invece, specifica quale politico o quale professionista.

Duplicazione assurda e risibile in ogni caso, come se fosse possibile ammettere una duplicazione della persona, visto che la coscienza altro non è se non la via attraverso la quale si esprime la sensibilità della persona nella sua integralità e visto che ciascuno di noi si identifica con la propria persona (a meno che si soffra di uno sdoppiamento della personalità, sul modello stevensoniano di Hyde e Jekyll, ma saremmo già nella dimensione patologica). Sicché fa specie assistere ai puerili contorcimenti verbali e psicologici dei politici di turno, quando si affannano a chiarire che quella determinata votazione parlamentare (per esempio, in tema di bioetica) non ha rilievo politico, ma solo di coscienza: come se davvero potesse ipotizzarsi una politica (e una persona) definitivamente spogliata della coscienza o una coscienza (privata della persona) che non si esprima nelle categorie della politica.

O come quando capiti di ascoltare, cercando di non dare segni di impazienza, i sapientoni che rimarcano come certo, umanamente, possono comprendere una certa situazione difficile in cui versa un loro simile, ma professionalmente non possono farci nulla. Boutade per principianti del pensiero o per esuli della coscienza, nulla di più. E boutade va qualificata dunque anche l’affermazione dell’avvocata Posillipo. Infatti – dal momento che la coscienza di cui si dispone è una e una soltanto – la Posillipo, come tutti noi, non ne ha certo due: quella professionale coincide con quella umana, e fa tutt’uno con essa. Ne viene che mai e in nessun caso un essere umano – e tanto meno un avvocato che lo fa per vocazione e per professione – può declinare di difendere un suo simile.

Certamente, potrà farlo se vi si oppongano gravi motivi di convenienza ed opportunità (se per esempio, esista già grave inimicizia fra i due) o se si riconosca non competente in quel determinato settore dello scibile giuridico (per esempio, diritto internazionale della navigazione), e sempre “a posteriori”, mai “a priori”, per una serie indeterminata di casi. Inoltre, questa coscienza insieme umana e professionale sa bene che ogni persona accusata di un illecito, non per questo ne è colpevole e che, se anche ne fosse colpevole, potrebbe forse godere di attenuanti di vario genere, se non addirittura di scriminanti.

E se anche l’accusa fosse assai grave, si può rispondere – parafrasando ciò che Vladimir Jankélévitch dice del perdono (e cioè che solo l’imperdonabile va davvero perdonato) – che solo l’indifendibile va davvero difeso. Non occorre aver superato gli esami di avvocato per saperlo con certezza, bastando la normale capacità di pensiero dispensata ad ogni essere umano. Sicché, rifiutare – come fa la Posillipo – la difesa di chi sia accusato di trasgressione del divieto di uscire da casa, significa qualificarlo già come colpevole, anticipando un giudizio che nessuno potrebbe razionalmente anticipare, se non a patto di farsi preda di una totale e pericolosa chiusura ideologica. Per capire questa cosa così semplice, due coscienze sono troppe. Ne basta una, ma senza obiezioni.

Aggiornato il 17 marzo 2020 alle ore 12:25