Lo Stato-padrone contro il Coronavirus

Mentre impazza il Coronavirus, si avvicina sinistro lo spettro di una gelata dell’economia mondiale che per noi sarebbe catastrofica, soprattutto se il contagio dovesse estendersi ancora nello spazio e nel tempo.

L’Italia è un Paese di trasformazione e notoriamente povero di materie prime, per cui il combinato disposto di una crisi dell’offerta – in pratica l’inceppamento produttivo delle catene globali del valore nelle quali sono inserite le nostre aziende – e quella della domanda con il crollo dei consumi e degli investimenti ci manderebbe rapidamente a gambe all’aria. E in un simile scenario, ben lungi dall’essere solo ipotetico, il solito piagnisteo, peraltro già in atto, per ottenere ulteriore flessibilità dall’Europa – cioè nuovi quattrini da spendere aumentando l’indebitamento pubblico – non servirebbe a un beneamato nulla. Se infatti, per capirci, la maggioranza delle persone riducono drasticamente le proprie uscite da casa e i propri acquisti, il turismo interno ed estero si ferma, e se le aziende non possono continuare a realizzare e/o esportare in tutto o in parte i propri prodotti, causa proprio il blocco del sistema globale delle forniture, anche gettando montagne di quattrini dagli elicotteri, secondo un vecchio sogno dei tanti keynesioti di questa disgraziata nazione, l’economia è comunque destinata a contrarsi in modo drammatico.

Ciò, al di là di una lunga serie di nefasti effetti a catena, in primo luogo determinerebbe un crollo verticale del gettito tributario allargato, mettendo in gravissima difficoltà la tenuta dei conti pubblici e dunque, in prospettiva, come accadde nel 2011 il pagamento di stipendi e pensioni, tanto per cominciare. Il tutto, poi, aggravato da una tendenza che già si sta materializzando ai nostri danni da alcuni giorni, ovvero la cosiddetta fuga dal rischio.

In pratica, come segnala la rapida impennata dello spread sul Btp decennale, che venerdì scorso ha superato i 180 punti, l’enorme massa dei capitali in circolazione nel mondo, nella prospettiva di un aggravamento della crisi indotta dal Coronavirus, inizieranno a riposizionarsi sui titoli di Stato dei Paesi ritenuti più sicuri, determinando una rapida salita dei tassi d’interesse di quelli considerati più fragili, tra cui ovviamente l’Italietta delle scorciatoie e delle facili illusioni.

D’altro canto, nell’ambito di un sistema politico-burocratico da sempre affetto dal virus della spesa corrente, in cui troppo spesso vengono spacciati bonus e sussidi elettorali per investimenti, non ci possiamo aspettare miracoli da chi oggi Governa sulla medesima, fallimentare linea. Tant’è che, proprio al fine di rilanciare la crescita nelle zone più colpite dal virus cinese, l’Esecutivo giallo-rosso manda un segnale chiarissimo circa la direzione che intende seguire. Sono stati infatti assunti due personaggi come consiglieri economici del Premier, Giuseppe Conte, che sono tutto un programma: Mariana Mazzucato, romana naturalizzata statunitense, e il belga Gunter Pauli.

Il secondo, per chi non lo sapesse, è noto a livello mondiale per le sue idee sull’economia verde, sul riciclo e, in particolare, sull’economia a chilometro zero, che tanto piace a Beppe Grillo e soci a 5 Stelle. Una sorta, per capirci, di una riedizione riveduta e corretta della non molto florida esperienza della cosiddetta economia curtense sviluppatasi, si fa per dire, nel corso dell’Alto Medioevo.

Ma, a mio avviso, risulta ancora più significativa la nomina della Mazzucato la quale, vorrei ricordare, era stata inserita tra i candidati al ministero dell’Economia dal Movimento 5 Stelle prima delle elezioni politiche del 2018. Incurante come tanti altri suoi colleghi del fatto che il sistema pubblico italiano spende troppo e male, la nostra si batte con fermezza da anni per aumentare i già amplissimi ambiti dello Stato, riesumando addirittura l’esperienza non proprio encomiabile dell’Iri in un lungo articolo pubblicato alcuni mesi orsono su la Repubblica, raccogliendo con questo una antica suggestione grillina. Nel recente passato è stata una strenua sostenitrice della linea, poi rivelatasi del tutto fallimentare, dell’allora ministro dell’Economia greco, Yanis Varoufakis. Ha anche scritto nel 2014 un libro, Lo Stato innovatore, con cui rivendica il primato dello Stato medesimo nell’innovazione e nello sviluppo dei moderni sistemi economici. In breve, Mazzucato considera in questo il capitalismo meno efficace, considerando un falso mito quello che vede nell’impresa privata il motore dell’innovazione, mentre lo Stato viene bollato come un elefante inerte e dissipatore di risorse.

A questo punto, se il buongiorno si vede dal mattino, non ci resta che aspettare il varo di un prossimo Gosplan all’amatriciana, sulla scorta dell’analogo organismo nato nel 1921 in Urss per pianificare l’economia. Dopodiché potremmo entusiasticamente gridare in coro “tutto il potere ai soviet”, mentre ci dedichiamo alla raccolta di cicoria selvatica nei campi.

Aggiornato il 02 marzo 2020 alle ore 10:44