La mossa del somaro

Dunque, dopo averlo annunciato ai quattro venti, Luigi Di Maio si è dimesso da capo politico del Movimento 5 Stelle. L’annuncio ufficiale lo ha dato a margine della presentazione del fantomatico “Team del futuro”, ossia la nuova struttura basata sui cosiddetti facilitatori regionali, creati con lo scopo di affrontare la devastante crisi politica e programmatica che sta affliggendo da tempo i grillini.

La sostanza del lungo discorso di commiato di Giggino si può così sintetizzare: abbiamo realizzato in 20 mesi molte prodigiose riforme che il Paese aspettava da almeno trent’anni, migliorando notevolmente la qualità della vita degli italiani; occorre però tenere duro per andare avanti su questa linea del coraggio, ma io me ne vado lo stesso e a testa alta, restando comunque nel movimento. Una sorta di rinnovato alziamoci e partite, quindi (forse in questo il genio di Pomigliano d’Arco avrà preso ispirazione dal fondatore e garante Beppe Grillo, il quale continua a dettare nei fatti la linea ai grillini senza tuttavia assumerne la piena e diretta responsabilità politica).

Ora, tralasciando la restante e, per quel che mi concerne, insopportabile retorica sui meriti rivendicati da Di Maio in nome e per conto del M5S – un fritto misto di piccole e grandi scelleratezze a partire dal fallimentare reddito di cittadinanza, finendo con tutta una serie di norme medievali soprattutto nel campo del diritto – quest’ultimo si è guardato bene dallo sfiorare la vera ragione politica che lo avrebbe spinto al gran rifiuto: la perdita verticale di consenso che sta letteralmente riducendo ai minimi termini una forza che meno di due anni orsono godeva dell’appoggio di un elettore su tre.

Da questo punto di vista, in previsione della imminente débâcle che i pentastellati rimedieranno in Emilia-Romagna, il “coraggioso” ex-capo populista sempre incravattato ha pensato bene di eseguire la sua mossa del cavallo, o del somaro che dir si voglia, a pochi giorni dal voto, forse ritenendo di scaricare sulla groppa di qualcun altro il peso dell’ennesima sconfitta annunciata.

In realtà, a prescindere dai meriti o dai demeriti di questo signorino soddisfatto tutto chiacchiere e distintivo, il repentino, inesorabile declino dei grillini è iniziato nel momento in cui Di Maio & company hanno assunto responsabilità di governo, svelando il bluff con cui fino a quel momento avevano carpito la fiducia di milioni di italiani. Nel momento in cui costoro hanno potuto sperimentare sulla propria pelle che il famoso detto di un antico populismo da bar, “ammazza ammazza sono tutti una razza”, si adattava in forma ancor peggiorativa ai loro novelli tribuni della plebe, ne sono rimasti letteralmente schifati.

In tal senso si può dire che la disillusione e il conseguente rifiuto, secondo una legge emotiva non scritta, sono stati direttamente proporzionali alle enormi aspettative che le balle a 5 stelle avevano creato loro. Perciò, in estrema sintesi, io credo che le dimissioni di Luigi Di Maio, a prescindere dal momento e dalle non esplicitate ragioni del suo gesto, siano del tutto inutili, dal momento che il M5S risulta essere una forza politicamente agonizzante e praticamente morta sul piano delle prospettive.

Aggiornato il 23 gennaio 2020 alle ore 12:13