
Il Presidente delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza, ha con tristezza ammesso che l’idea di sottoporre a referendum abrogativo popolare la norma che, con l’oscena riforma della prescrizione, istituisce il processo (ed i processati) perpetuo, è una utopia irrealizzabile. Gli Avvocati non sono in condizione di raccogliere le firme necessarie per dar luogo al referendum. Buon per lui che un lampo di buon senso gli ha consentito di vedere quello che anche i ciechi, purtroppo, sono costretti a constatare.
Ma questa resa (che di resa si tratta) non è una novità, un imprevisto. Ed è la constatazione che la battaglia per la giustizia non si fa “a pezzi”, anche se, chi è del mestiere ed anche chi non lo è, talvolta è in condizione di dover prendere atto che, magari, una norma, un particolare, è il segno tipico di una giustizia ingiusta, il marchio della stessa ingiustizia.
Ex radicali, avvocati, penalisti, garantisti teorici e, magari, combattenti di certe battaglie per una giustizia giusta, non hanno mancato di individuare di volta in volta i segnali, le “norme simbolo” di questa giustizia che volta le spalle al garantismo, alla civiltà Illuminista, al rispetto dei principi fondamentali di quella che continuiamo a definire “civiltà moderna”, mentre un cupo oscurantismo ci imporrebbe di cominciare a renderci conto che rischiamo di perderci nella nebbia del passato.
È cosa per me atroce, straziante vedere e constatare tutto ciò. Ma se penso che quelli che, magari, oggi aprono gli occhi ed ammettono che la loro lotta per combattere i processi “eterni”, praticamente “imprescrittibili”, è una battaglia perduta, sono quelli che hanno guardato per anni dall’alto in basso a quanto io, povero ingenuo, andavo predicando: che cioè il problema della giustizia è il problema del Partito dei magistrati e che se non si prende atto dell’evidenza di questo mostro, non si riesce a far muro, a resistere a questa fonte di tutte le ingiustizie che possono cancellare un regime libero, spegnere una Repubblica, se non si ammetterà come non si ammette ancora oggi, che il “garantismo frazionato” non garantisce nulla, la rovina della giustizia e delle libere istituzioni è segnata ed inevitabile.
Ricordo alcuni di quelli che oggi andranno ad esibire cartelli contro i processi “eterni”, schifando la mia “rozzezza”, le “genericità” di quanto dicevo e scrivevo e scrivo sul Partito dei Magistrati, andarono un giorno, fieri e ridicoli a “marciare” per lo Stato di Diritto. Di cui avevano inteso parlare. Già, lo Stato di Diritto. Buono per riempirsene la bocca. E, magari, per far la corte ad un ministro Bonafede, congratulandosi per la sua “sensibilità mostrata verso l’attenzione di qualcuno di quelli lì, per i problemi dei carcerati”. Ed altri meriti del genere.
Basta. Scrivere, dire, ricordare tutto ciò mi consta quanto io stesso non so misurare. Scusate lo sfogo. Ma non dimenticate certe cose che ho scritto, ripetuto, sperando di poter condividerle con tutti voi. Pensateci. Meglio tardi che mai.
Aggiornato il 10 gennaio 2020 alle ore 12:32