
Alla radice delle dimissioni del ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, non sembra esserci un problema di scarsa sensibilità del governo nei confronti delle esigenze della scuola. Apparentemente l’esponente grillino se n’è andato perché le sue richieste di tasse di scopo (sulle merendine e sulle bevande zuccherate) per finanziare l’istruzione, non sono state accolte. Ma all’interno del Movimento pentastellato si sostiene che dietro i principi dell’ormai ex ministro ci sia una più prosaica convenienza per il proprio futuro politico.
Il problema che domina incontrastato tra i componenti dei gruppi parlamentari grillini è come utilizzare al meglio la durata sempre più precaria della legislatura per arrivare alla resa dei conti delle elezioni con almeno una concreta speranza di poter rientrare in Parlamento e non tornare al precariato o alla disoccupazione.
Le divergenze su come trovare una soluzione personale ad una questione così complessa stanno provocando una serie di spaccature che potrebbero sfociare in una scissione e nella formazione di un nuovo gruppo parlamentare. Il punto di partenza per queste divergenze è la previsione sulla percentuale di consensi che il Movimento 5 Stelle riuscirà a conservare nella futura tornata elettorale. I più ottimisti si dicono convinti che il Movimento non andrà sotto il voto europeo. I più pessimisti non escludono di arrivare ad una percentuale vicina al 10 per cento. Tutti, dunque, ipotizzano che i prossimi gruppi parlamentari o saranno dimezzati o addirittura ridotti di due terzi rispetto a quelli attuali. Che fare, allora, per impedire di finire nel novero degli esclusi? Al momento le strade da seguire sembrano essere solo due. O cercare di entrare a far parte del cerchio dei fedelissimi di Luigi Di Maio nella speranza di essere inseriti nel pacchetto di chi sarà comunque garantito anche nell’eventualità che il Movimento precipiti verso il 10 per cento. Oppure abbandonare al proprio destino Di Maio ed i suoi fedelissimi e cercare di dare vita ad un nuovo gruppo che si rifaccia alle posizioni del Premier Giuseppe Conte e che attraverso i suoi buoni uffici possa stabilire un accordo elettorale con il Partito Democratico tale da assicurare la rielezione ai non garantiti dall’attuale capo politico.
Fioramonti, secondo i dimaiani, avrebbe scelto la seconda strada. E le sue dimissioni sarebbero dirette a preparare il terreno per una scissione filo-contiana in vista di un patto organico con il Pd sulle candidature elettorali. Grazie alla scelta di principio, quindi, l’ex ministro si candiderebbe a guidare la scissione garantendosi prima e più di ogni altro.
Tutto questo minaccia la stabilità del governo? Niente affatto. Perché gli scissionisti non toglierebbero la fiducia al Presidente del Consiglio di cui diventerebbero i pretoriani. E scaricherebbero su Di Maio l’eventuale onere di provocare la crisi ed andare alle elezioni.
Aggiornato il 30 dicembre 2019 alle ore 00:35