
La Giornata Mondiale dei Diritti Umani fu istituita nel 1950 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per celebrare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, proclamata dalla stessa Assemblea nel 1948. Cinque anni dopo, quella Dichiarazione ispirò una piccola, grande rivoluzione nella città statunitense di Montgomery, in Alabama, di cui è possibile sentire ancora oggi l’eco in tantissime aree del mondo.
Tutto cominciò il 5 dicembre 1955, un lunedì. Quella settimana di 64 anni fa non ebbe l’abituale inizio spossato e segregato. Quattro giorni prima, infatti, la spossatezza si era trasformata in saturazione e l’insopportabile segregazione in inarrestabile azione. Azione nonviolenta. Il 1° dicembre, una composta signora di nome Rosa Parks non si era alzata per cedere il suo posto in autobus ad un uomo bianco. Alla prima fermata utile, l’autista fece scendere la donna e chiamò la polizia che la arrestò per aver infranto una legge locale sulla segregazione razziale.
Fin dalle primissime ore di quel 5 dicembre, il 90 per cento degli abitanti della comunità afro-americana di Montgomery uscirono dalle loro abitazioni prima del solito perché, anziché recarsi alla fermata dell’autobus più vicina, si incamminarono a piedi verso i luoghi di lavoro. Al ritorno, la sera, molti di loro si recarono alla Chiesa battista di Holt Street dove un giovane reverendo ventiseienne, Martin Luther King jr., tenne uno storico discorso. Li incoraggiò. Li esortò, incluso se stesso, a non mollare. Li avvertì delle difficoltà e dei sacrifici all’orizzonte. Li convinse. Scelse parole con cui antepose il ruolo della democrazia all’obiettivo del boicottaggio: “Siamo qui per il nostro amore per la democrazia, per la nostra profonda convinzione che la democrazia che si trasforma da un sottile foglio ad una densa azione è la migliore forma di governo sulla terra (…) Giovedì scorso uno dei migliori cittadini di Montgomery – non uno dei migliori cittadini negri, ma uno dei migliori cittadini – è stata arrestata perché si è rifiutata di cedere il suo posto sull’autobus ad un bianco (...) e dato che doveva accadere, sono felice che sia accaduto ad una persona come lei, perché nessuno può dubitare dell’integrità della signora Parks”.
Ebbe così inizio il boicottaggio degli autobus, animato dalla Montgomery Improvement Association (Mia) e guidato da Martin Luther King jr. Quella che originariamente era nata come una protesta di un giorno, divenne un lungo sciopero quotidiano della durata di un anno che terminò il 20 dicembre 1956, con la conferma della Corte Suprema della decisione del 5 giugno 1956 di una Corte federale distrettuale che aveva sancito l’incostituzionalità della legge sulla segregazione razziale sugli autobus.
Storiella vecchia e sdolcinata? No, storia straordinariamente attuale e profonda, come l’innata ricerca della libertà propria di ogni essere umano. Lo vediamo in queste settimane e mesi in Venezuela, Cile, Bolivia, Libano, Iraq, Iran, Hong Kong. La differenza nella conduzione della lotta è evidente e ci assiste Martin Luther King jr. stesso quando il 5 dicembre disse: “Questa è la gloria dell’America, con tutti i suoi difetti. Se fossimo confinati dietro la cortina di ferro di una nazione comunista non potremmo farlo. Se fossimo rinchiusi in un carcere di un regime totalitario non potremmo farlo. Ma la gloria della democrazia americana è il posto giusto per protestare”.
Di fronte alla Cina a partito unico è semplicemente ammirevole la costanza con cui persone di ogni età e strato sociale manifestino quotidianamente da ormai sei mesi avanzando cinque richieste specifiche (quelle dei “boicottatori” di Montgomery erano tre).
La tenacia degli abitanti dell’ex colonia britannica dimostra da un lato che chi vive in un territorio democratico non vuole perdere i diritti e le libertà di cui gode, dall’altro che Stati autoritari, come la Repubblica Popolare Cinese, promuovono il concetto di “Stato di Diritto” come strumento di legalità finalizzata al controllo della popolazione attraverso la rigorosa applicazione della legge. Niente a che vedere con la nozione liberale della separazione dei poteri e della protezione delle minoranze. La segregazione in Alabama era legale. La schiavitù negli Stati confederati era legale. La deportazione degli ebrei era legale. Per dirla con Louise Arbour, già Alto Commissario Onu ai Diritti Umani, lo Stato di Diritto è “l’applicazione giusta di leggi giuste”, ovvero applicate in sintonia con le norme internazionali sui diritti umani. Ma chi decide cosa è giusto? I governi, quando sottoscrivono o ratificano trattati internazionali che regolamentano i diritti umani, civili, politici ed economici dei cittadini. Lo Stato di Diritto è il solo scudo delle minoranze.
Il 27 luglio 2015, in una conferenza al Senato dedicata al diritto alla conoscenza e all’universalità dei diritti umani, Marco Pannella disse: “...il diritto è una cosa, legalità è qualcos’altro. Tant’è vero che ne esiste una nella quale si legalizzano misure illudendosi che siano forme prudenti di difesa dell’ordine costituito. La caratteristica storica di Stati nei quali l’elemento della legalità è sempre predominante presenta il rischio che proprio questi Stati neghino i diritti umani quali sono vissuti istintivamente, antropologicamente dalla gente, per sottolineare invece che la legalità, il diritto vigente è fatto dalla negazione violenta di libertà e quindi responsabilità di ciascuno. Allora dico grazie presidente [Mattarella, ndr], perché ci hai sollecitato a fare una riflessione esplicita contro quell’abuso tradizionale, storico, antropologico del diritto, della legge che i grandi libri della religiosità hanno sempre evocato come elemento necessario, costitutivo della storia umana secondo l’una o l’altra lettura religiosa, ma tutte convergenti. Quindi, sintetizzando, siamo qui per lottare (…) contro forme di legalità che sono nemiche delle visioni liberali, delle visioni laiche nelle quali la libertà di pensiero viene sempre temuta piuttosto che coltivata”.
Nel Partito Radicale ci sono dei sognatori. Non solo perché il caso vuole che sia stato fondato l’8 dicembre 1955, proprio nel giorno in cui Martin Luther King jr. e la Mia presentarono ufficialmente le tre richieste al governo locale, ma perché riteniamo indispensabile mobilitarci a sostegno della democrazia a Hong Kong e altrove, non su un “sottile foglio” ma nella “densa azione” quotidiana. Occorre adoperarsi da subito perché entro il 2047, anno in cui tornerà pienamente sotto la giurisdizione della Repubblica Popolare, Hong Kong non solo sia ancora una democrazia, ma abbia contagiato il regime anti-democratico pechinese.
Aggiornato il 10 dicembre 2019 alle ore 15:59