Il ministro della felicità

Intervistato da Lucia Annunziata su quella che rischia di passare alla storia come la manovra più imbarazzante della Repubblica, il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, l’ha così sintetizzata: le tasse scenderanno, la spesa sociale e gli investimenti aumenteranno e i conti pubblici verranno messi in sicurezza. Dopodiché, parafrasando una nota canzone di Lucio Dalla, “sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno”, dato che avremmo finalmente realizzato il sogno di Calandrino, alias credulo elettore italiota, di vivere in un moderno Paese di Bengodi, in cui tutti prosperano nell’ambito di una economia stagnante soffocata da un sistema politico capace solo di produrre debiti.

In tal senso, se per avventura si dovesse avverare anche solo in parte quanto annunciato da Gualtieri, si potrebbe istituire un nuovo dicastero per questo autorevole economista: il ministero della felicità.

In realtà, come è stato già evidenziato in tutte le salse dagli osservatori più attenti e meno inclini ad allinearsi alle varie tifoserie di partito, i 32 miliardi di euro di cui è composta la medesima manovra sono ottenuti per oltre la metà attraverso l’aumento del deficit di bilancio, secondo una classica metodologia di politica economica alla portata di qualunque analfabeta funzionale appartenente a queste lande desolate. Non solo, dopo la guerriglia che si è scatenata dentro l’Esecutivo su alcune scellerate nuove imposte previste proprio per contenere tale disavanzo, le più significative di queste ultime – tra cui la plastic tax e la sugar tax – sono state rinviate a luglio e a ottobre, insieme a tanti altri provvedimenti considerati d’impatto, con in testa il famoso abbattimento di 3 miliardi del cuneo fiscale; anch’esso posticipato a luglio del 2020.

Comunque sia, evitiamo di aggiungere altri dettagli poiché, malgrado si sia prossimi alla scadenza ultima per approvare in via definitiva la Legge di Bilancio, il suo iter parlamentare risulta ancora piuttosto fluido, caratterizzato da una ridda continua di modifiche e cambiamenti del gambero nel quale tutto sembra possibile.

Ciò che invece sul piano politico si può facilmente scorgere da un simile polpettone legislativo, che per praticità definiamo manovra, è il carattere di estrema provvisorietà che la sostiene, rappresentando una ulteriore conferma di un prossimo ritorno alle urne. In pratica, accettando di tenere in piedi un tale pasticcio economico-finanziario, il quale scarica di fatto sulla prossima maggioranza il coacervo di nodi irrisolti che esso porta in dote alla collettività, i soci dell’attuale Esecutivo ammettono indirettamente il loro fallimento politico, posizionandosi per quel che possono sui loro principali richiami politici e propagandistici.

Da questo punto di vista non possiamo esimerci dal sottolineare l’accusa in stile sovietico mossa ai renziani da alcuni esponenti di vertice del Partito Democratico, rei di voler favorire le multinazionali per essersi battuti per eliminare le succitate tasse sulla plastica e le bibite zuccherate. Nella fattispecie, i dem avrebbero invece voluto, in ossequio alla loro molto presunta base elettorale, utilizzare i quattrini prelevati con queste cervellotiche imposte per ridurre di qualche altra virgola il cuneo fiscale sui salari medio-bassi. Tutta robetta la quale, pur non modificando in modo rilevante i nostri colossali problemi sistemici, comunque aggiungerebbe altri oneri fiscali nel Paese, contribuendo a deprimere la già scarsa domanda aggregata interna. Ma oramai l’attenzione del Pd, del suo prossimo ministro della felicità e dei suoi quasi ex soci di governo è tutta rivolta a come affrontare un ritorno alle urne che sembra avvicinarsi a grandi passi. Il resto sono solo chiacchiere.

Aggiornato il 10 dicembre 2019 alle ore 11:03