Ha avuto ragione Franco Bechis quando ha rilevato che i grandi applausi a Sergio Mattarella alla “Prima della Tosca” alla Scala sono stati tributati da un pubblico formato da votanti del Partito Democratico affiancati dai radical chic del cosiddetto “bel mondo” milanese. Non stupisce, infatti, che la casta elitaria della città più classista d’Italia osanni un Presidente della Repubblica che considera la sua espressione più alta non solo per conformistico ossequio al massimo rappresentante delle istituzioni, ma anche per sintonia culturale e politica nei confronti di un rappresentante di quel progressismo cattolico egemone da alcuni decenni nell’establishment del Paese.
Ciò che stupisce, semmai, è che tutto questo grumo di grande potere si sia potuto radunare all’interno del Teatro alla Scala senza che all’esterno del teatro non ci sia stata una qualche forma di contestazione nei suoi confronti. Nel ’68 “studenti ed operai uniti nella lotta” approfittavano della prima nel Tempio dell’Opera per fornire una immagine tangibile del conflitto in atto nella società italiana tra i figli della piccola borghesia e della classe operaia proiettati verso una società più aperta e l’aristocrazia dei privilegiati decisa a difendere le proprie posizioni di potere. Era una immagine schematica ma fotografava perfettamente la fase di passaggio di una società nazionale che usciva a fatica e tra infiniti contrasti dalle rigidità sociali del passato e si apriva ad una modernità contraddittoria ma vitale.
Ma oggi non ci sono i Mario Capanna di quel tempo. Nella piazza antistante la Scala non c’era nessuno a tirare le uova. Perché oggi chi vorrebbe liberarsi della classe dirigente carica di privilegi accumulati in tanti decenni di potere e di egemonia culturale non è abituato a scendere in piazza, mentre chi sa manifestare le proprie idee solo riempiendo più o meno pacificamente le piazze è schierato oggettivamente in difesa dell’establishment asserragliato dentro la Scala.
Al posto di Capanna, in sostanza, ci stanno le sardine. Che non a caso sono vezzeggiate, blandite, sostenute ed alimentate dal potere dominante e non tirerebbero mai le uova contro i privilegiati in nome di una esigenza di cambiamento della società in quanto espressione e figli dei privilegi.
Il paradosso è forte. Ma è il segno inequivocabile che il compito di promuovere i nuovi tempi spetta alla maggioranza silenziosa.
Aggiornato il 10 dicembre 2019 alle ore 11:04