Le comiche finali dei grillini

Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle, siamo veramente alle comiche finali dei pentastellati.

Dopo la dura sconfessione che il presunto capo politico dei pentastellati, Luigi Di Maio, ha ricevuto dai militanti in merito alle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna e della Calabria – nonostante il quesito piuttosto ambiguo presente sulla piattaforma Rousseau – si è precipitato a soccorrerlo il garante supremo Beppe Grillo. I due si sono incontrati all’Hotel Forum della Capitale e hanno “concordato”, nell’ambito del solito fiume in piena di ideone confuse ad uso dei gonzi espresse dal comico genovese, di realizzare a gennaio un nuovo Contratto di governo”.

Ma al di là della indigeribile sequela di teorie astruse, che sembrano prese un po’ a casaccio nel mondo dei sogni virtuali che ha caratterizzato l’iniziativa di Grillo, la sostanza dell’incontro si trova tutta in questa frase del fondatore in difesa di Luigi Di Maio: “È un momento magico. Noi non possiamo fare dei Facebook in cui si dice questo qua non va bene. Adesso le cose devono essere chiare, il capo politico è lui, quindi non rompete i coglioni perché sennò ci rimettiamo tutti”.

Ovviamente la blindatura operata dal garante in favore del traballante capo politico ha un prezzo significativo, cioè quello di spostare definitivamente a sinistra l’asse del M5S, così come rilevato dai più autorevoli commentatori nazionali.

Dunque, al diavolo la democrazia interna, al diavolo la dialettica tra gli eletti, al diavolo la legge non scritta della verifica politica, al diavolo quella oramai arcinota balla spaziale del cosiddetto “uno vale uno”. Con quest’ultima incursione nell’empireo sconvolto degli onesti a Cinque Stelle, Grillo ha in primis ricordato ai parlamentari del suo movimento che lui è lui, al pari di un certo re citato in un famoso sonetto di Gioacchino Belli, mentre loro non contano un ca… o. Inoltre egli ha evidenziato ulteriormente che il povero Di Maio vale meno del proverbiale due di coppe, essendo costretto a farsi legittimare e dettare la linea ancora una volta da questo esperto capopopolo.

Solo che probabilmente a Grillo sembra essere sfuggito un piccolo dettaglio: la maggior parte dei parlamentari pentastellati, così come gli eletti in altri organi di rappresentanza, hanno oramai fiutato l’aria di smobilitazione e dunque, non avendo più quasi nessuna chance dentro un M5S oramai destinato ad una rapida scomparsa, non sono più controllabili come un tempo.

Una volta che è venuto meno l’effetto propulsivo di una proposta politica basata in gran parte su pericolose semplificazioni, soprattutto per un Paese affetto da gravi e complessi problemi sistemici, i grillini hanno perso ogni appeal nei confronti dell’elettorato. Ciò, ovvero l’inevitabile fallimento delle loro strampalate tesi una volta arrivati al potere, si è poi coniugato con la successiva propensione ad allearsi pure col diavolo, pur di restare aggrappati alle poltrone, eliminando del tutto quella fasulla aura di diversità che Grillo e soci si erano costruiti in anni di comoda opposizione.

A questo punto nulla potrà salvare dall’oblio un non partito privo di sostanza politica e programmatica, in cui c’è ancora uno pseudo capo politico che la maggior parte degli eletti e dei militanti rimasti non gradisce più, e la cui legittimità non è conferita dagli iscritti o addirittura dagli elettori, bensì solo ed esclusivamente da un garante, oltreché fondatore, in evidente stato confusionale.

Aggiornato il 26 novembre 2019 alle ore 10:50