Renzi, Salvini & Co.: un nuovo Governo?

Un nuovo Governo formato da Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Italia Viva? Operazione fantasiosa, ma che potrebbe finalmente rompere la coalizione giallo-rossa e dare agibilità di governo a quella di centrodestra, conformemente ai risultati delle elezioni del 4 marzo 2018.

Gli ostacoli sono tuttavia molti. Anzitutto, al progetto mancano, a occhio e croce, una quindicina di voti alla Camera e una decina al Senato. Solo se la “campagna acquisti” di Italia Viva e Lega dovesse arrivare in porto, il progetto stesso potrebbe iniziare a prendere corpo.

È fattibile politicamente? Molto dipende dalle scelte, in prima battuta, di Matteo Renzi e poi di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. Andiamo con ordine. Renzi, nella calura agostana, in un’intervista al Corriere della Sera, affermò che il nascente Governo avrebbe dovuto portare il Paese al voto elettorale dopo aver fatto poche, essenziali cose. Si sarebbe dovuto limitare ad approvare la legge di bilancio e sterilizzare l’aumento dell’Iva, ad accompagnare l’esito del voto della Camera sulla riduzione dei parlamentari e poco altro. Accanto a questi obiettivi chiaramente confessati ve n’era un altro, ugualmente strategico, ma nell’intervista sottaciuto: il Governo avrebbe dovuto fare da levatrice alla creatura partitica che Renzi stesso stava per dare alla luce e assistere alla conseguente spaccatura dei democratici. Raggiunti questi risultati, la nuova maggioranza si poteva, anzi si doveva sciogliere.

Sebbene Renzi avesse in mente un governo istituzionale, questi eventi si sono tutti realizzati: Italia Viva è nata, la scissione dal Partito Democratico si è consumata, la riduzione dei parlamentari è stata votata e la legge di bilancio sarà approvata senza aumento dell’Iva. Mangiato il panettone, allora, il “toscanaccio” - nell’accezione benevola di Curzio Malaparte - potrebbe mettere in pratica quel che aveva dichiarato: dare il benservito al Governo, così da liberarsi di Giuseppe Conte e tentare lo scacco matto al Pd, sicuro, per di più, di avere dalla sua una parte dell’opinione pubblica, stomacata da questi mesi di governo.

In realtà le cose sono più complesse, perché Italia Viva sta raccogliendo un consenso molto più limitato di quello immaginato inizialmente dal suo fondatore: il 5 o il 6 per cento, stando ai sondaggi, è un risultato oggettivamente modesto. Il progetto simil-macroniano di affossare la sinistra moderata, insomma, non veleggia ancora in acque sicure.

Il cuore del problema della tenuta del Governo e della durata della legislatura, allora, si risolve nella contrapposizione degli interessi tra Pd e Italia Viva. Il Partito Democratico, per ostacolare la crescita di Italia Viva, potrebbe essere tentato di andare subito a elezioni anticipate. Con l’attuale sistema elettorale, il partito renziano otterrebbe un numero forse modesto di parlamentari e il Pd, in questo modo, potrebbe salvarsi dal cannibalismo annunciato dal conte Ugolino di Rignano sull’Arno. Il “toscanaccio”, invece, pur avendo l’urgenza di liberarsi di Conte e pur consapevole che rimanendo nell’attuale maggioranza i margini di crescita sono ormai ridotti all’osso, deve in tutti i modi evitare il voto immediato, avendo bisogno di tempo, proprio, per incrementare i consensi. Pertanto, aprirà la crisi solo se riceverà sufficienti garanzie per un nuovo esecutivo e per una legge elettorale quasi completamente proporzionale. In caso diverso, non avrà convenienza a intestarsi la crisi e men che meno la fine anticipata della legislatura.

Da chi possono venire le garanzie? La risposta sta nelle cose: da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, che hanno sicuro interesse a un governo con Italia viva (o appoggiato dall’esterno da Italia Viva). Salvini tornerebbe al governo e per prima cosa potrebbe sperare di far crescere ulteriormente il suo partito. E poi non correrebbe rischi sull’autorizzazione a procedere per il reato di sequestro di persona ipotizzato dalla Procura di Agrigento, che i giallo-rossi concederebbero quasi sicuramente. Procedimento, questo, il cui esito è solo all’apparenza secondario, ma che in realtà è determinate per la sua scalata definitiva alle istituzioni. Gli azzurri, dal canto loro, tornerebbero a saldarsi intorno a Silvio Berlusconi, appagati dalla prospettiva di guidare il Paese e in attesa, magari, di un congresso “rifondatore”. E la Meloni, non più ultima, potrebbe perfino aspirare alla poltrona di premier.

Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Ma in questo contesto un ruolo fondamentale lo avranno le regole del gioco, ossia le regole elettorali sulle quale i contendenti potranno trovare l’accordo, al di là del già programmato referendum per una legge a vocazione totalmente maggioritaria.

Aggiornato il 22 novembre 2019 alle ore 12:06