Un Governo al capolinea

Con una legge di bilancio ancora in alto mare, bersagliata peraltro da un incessante fuoco amico di emendamenti, il secondo Governo del popolo, o del cambiamento che dir si voglia, sembra non avere più molto da dire. Al netto della valanga di sterili declamazioni di Giuseppe Conte, il quale da ogni pulpito ci ricorda le sorti certe e progressive dell’Italia giallo-rossa, i partiti che compongono la maggioranza non hanno più prospettive sul piano politico, se non quella di andarsi a schiantare tra pochi mesi contro il muro di cemento armato della realtà.

Oramai anche la formazione più interessata a restare nella stanza dei bottoni, il Movimento 5 Stelle, sembra aver compreso che rimanendoci ancora a lungo va incontro quasi certamente ad una completa estinzione. Ciò potrebbe far decidere chi comanda veramente dentro questo partito virtuale che il gioco di garantire la sopravvivenza dei propri parlamentari non vale più la candela di una sicura scomparsa dalla scena politica nazionale. In questo senso, ovviamente, solo per chi vorrebbe proseguire seppur in versione ridotta l’esperienza inaugurata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, sarebbe preferibile riportare all’opposizione un piccolo nucleo di residuati bellici del grillismo piuttosto che nulla.

Per quanto riguarda il Partito Democratico, che al momento i sondaggi danno perennemente in bilico sul piano dei consensi, fallita miseramente l’operazione che era riuscita a Matteo Salvini, ossia quella di fagocitare buona parte degli elettori pentastellati, sulla sua testa pende la spada di Damocle delle elezioni in Emilia-Romagna. Un banco di prova troppo importante per il partito di Nicola Zingaretti e che, restando ancora intrappolato nell’abbraccio mortale con pentastellati, rischia seriamente di trasformarsi in una vera e propria Caporetto politica per i dem.

Per questo la logica vorrebbe che, una volta chiusa una delle più pasticciate manovre della Repubblica, il Pd chiudesse immediatamente la partita, creando il presupposto per tornare rapidamente alle urne.

In tal senso anche Matteo Renzi, leader della ancora poco conosciuta Italia Viva, sembra aver fiutato l’aria di una fine repentina della legislatura, tanto da aver impresso una notevole accelerazione alla sua principale occupazione: il tiro al bersaglio di una linea di Governo della quale non pare condividere un beneamato nulla.

D’altro canto, quando in una coalizione già di per sé tenuta insieme con lo sputo prevalgono nettamente le ragioni per separarsi, di fronte allo spettro di possibili tempeste economiche e finanziare all’orizzonte, solo uno sprovveduto kamikaze potrebbe ostinarsi a proseguire un’esperienza di Governo già conclusa nei fatti.

Aggiornato il 21 novembre 2019 alle ore 11:41