Finkielkraut e l’inganno della “Commissione Segre”

Chi dice che i filosofi non siano utili al vivere quotidiano della gente? In genere scrivono di cose non sempre comprensibili per i comuni mortali. Tuttavia, quando occorre spiegare un concetto che i politici hanno ingarbugliato nessuno più di loro riesce a renderlo intellegibile anche a quelli culturalmente meno attrezzati.

Si pensi alla vicenda recente del mancato voto parlamentare della destra plurale di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia alla costituzione della Commissione straordinaria contro odio, razzismo e antisemitismo proposta dalla senatrice a vita Liliana Segre. I leader della destra sono stati chiari nell’illustrare le ragioni del dissenso ma a mettere una pietra tombale sulla questione, svelando il vero pericolo che si cela dietro il pretesto del contrasto all’antisemitismo, ci ha pensato Alain Finkielkraut, filosofo transalpino di origini ebraiche. In un’intervista rilasciata lo scorso venerdì a “Il Corriere della Sera”, Finkielkraut, rispondendo a una domanda dell’intervistatore sull’eventuale connessione tra il clima politico “nazionalista” instauratosi in Italia e le minacce alla senatrice Segre, ha opportunamente richiamato la distinzione tra due tipologie di antisemitismo. Una, legata all’immigrazione islamica che incrocia la tradizionale ostilità della sinistra europea verso Israele e verso le presunte mire egemoniche del sionismo; l’altra, di matrice autoctona europea che sopravvive nelle ideologie totalitarie del Novecento, non debellate con l’avvento del Terzo millennio. Per Finkielkraut, sebbene sia giusto vigilare affinché l’antisemitismo del secondo tipo non torni a contaminare le società occidentali, “sarebbe però sbagliato usare questi episodi terribili per proibire ogni critica dell’immigrazione”.

Ecco il punto che svela la trappola preparata ad arte dalla sinistra contro la libertà di parola degli oppositori alle società aperte ai fenomeni immigratori. L’obiettivo reale della Commissione censoria non sarebbe, se non formalmente, il contrasto all’antisemitismo ma la criminalizzazione di ogni posizione dichiaratamente anti-immigratoria. L’antefatto che Finkielkraut richiama nel suo ragionamento è l’adesione al Global Compact per l’Immigrazione. Si tratta di un documento elaborato in seno alle Nazioni Unite e ratificato il 10 dicembre dello scorso anno in Marocco, a Marrakech, da 164 Paesi, ma non dall’Italia. Si tratta della condivisione di alcune linee guida per la gestione su scala planetaria delle politiche migratorie. La filosofia del patto si fonda sull’“approccio cooperativo per ottimizzare i benefici complessivi della migrazione, affrontando i rischi e le sfide per gli individui e le comunità nei Paesi di origine, transito e destinazione”. Sembrerebbe una buona cosa se non fosse che stavolta il veleno non è nella coda ma nella premessa. È il sospetto, più che fondato, che l’iniziativa Onu punti a sistematizzare un diritto universale alla migrazione statuendo una disciplina comune, attraverso lo strumento giuridico del Global Compact, per una migrazione sicura, ordinata e regolare ma ineluttabile. Il documento chiede inoltre ciò che ideologicamente la destra identitaria a qualsiasi latitudine non potrebbe mai accettare: uno sforzo globale per “il riconoscimento e l’incoraggiamento degli apporti positivi dei migranti e dei rifugiati allo sviluppo sociale”.

Su tali premesse era naturale che un Governo partecipato dalla Lega non potesse dare il via libera alla sottoscrizione del Patto. Ma all’epoca a Palazzo Chigi vi era il medesimo personaggio ambiguo che abbiamo ancora oggi alla guida del Paese. E cosa ha fatto il premier Giuseppe Conte? Non ha detto un no deciso al Patto, si è limitato a sospendere temporaneamente la firma di adesione dell’Italia. Il che vuol dire che, una volta scavallata la prova del salto nel cerchio di fuoco della Legge di Bilancio, nulla impedirà alla compagine giallo-fucsia di riprendere nelle mani il dossier “Marrakech” e decidere di aggiungere la firma italiana a quella degli altri Paesi sottoscrittori. Quando l’Italia vi avrà aderito e nel frattempo sarà stata allestita la Commissione parlamentare “Segre” sulla base delle indicazioni inserite nel dispositivo della mozione votata e magari la sinistra sarà riuscita a vincere la resistenza dei Cinque Stelle sull’introduzione dello Ius soli quale criterio per l’assegnazione agli stranieri della cittadinanza italiana, funzionerà il combinato disposto dei tre provvedimenti tale per cui dichiararsi pubblicamente contro l’immigrazione e per una politica contraria alle porte aperte e che privilegi i diritti degli italiani rispetto a quelli degli allogeni, integrerà la condotta giuridicamente e moralmente sanzionabile d’istigazione all’odio razziale e alla xenofobia. Sarà un modo facile per la sinistra malata di autoritarismo e di tendenze illiberali e fascistoidi di cucire la bocca agli avversari.

Per avere un assaggio di ciò che avverrà domani se dovesse passare il piano svelato da Finkielkraut è sufficiente ascoltare il grigio funzionario di partito nonché segretario politico dei “dem”, Nicola Zingaretti. Non c’è dichiarazione pubblica nella quale manchi un riferimento alla necessità di sconfiggere l’odio del quale la destra sarebbe portatrice. Per Zingaretti, cresciuto alla scuola comunista della “disinformazia” e della manipolazione della verità, ogni critica sollevata dalla controparte a un’iniziativa della sinistra è interpretabile come manifestazione d’odio. Procedendo di questo passo agli esponenti di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia non resterebbe altro da fare ai propri comizi che parlare del tempo. E questa sarebbe la democrazia secondo il Partito Democratico e le sue appendici pentastellate? La tattica comunicativa di Zingaretti detta la linea allo “Zeitgeist”, lo Spirito del Tempo al quale ambirebbero multiculturalisti, terzomondisti di risulta e cattocomunisti in servizio permanente effettivo.

In tale ottica è totalmente coerente il delirio d’odio di un’anchorwoman nota per la sua insopportabile spocchia che, intervistata nell’ambito di uno spettacolo d’intrattenimento per radical-chic trasmesso da una rete televisiva privata, a proposito della denuncia di Matteo Salvini di aver ricevuto anch’egli minacce di morte come la senatrice Liliana Segre, ha detto: “Matteo Salvini paragona se stesso e la sua biografia a quella di Liliana Segre. Paragona le minacce che ha ricevuto lui con quelle indirizzate alla senatrice a vita. Ma come si permette?”. Con ciò confermando che per una sinistra rancorosa il cui quoziente intellettivo è inversamente proporzionale all’arroganza che mette in mostra, le pallottole non sono tutte uguali: quelle destinate a gente di destra fanno meno male perché eticamente più giustificabili rispetto a quelle rivolte a gente di sinistra ritenuta pregiudizialmente di superiore rango morale. Questo è il grado di democraticità dei “compagni”, che definirli i nuovi fascisti ci sembra perfino poco.

Per inciso, Alain Finkielkraut lo scorso febbraio è stato aggredito per strada durante una manifestazione dei gilet gialli. Lui la racconta così: “Sono stato vittima del primo tipo di antisemitismo, quello di estrema sinistra, importato dal Maghreb. Mi hanno urlato ‘sporco sionista, torna a Tel Aviv’, e altri insulti. In quel caso l’antisionismo è la foglia di fico dell’antisemitismo”.

E poi gli istigatori all’odio starebbero a destra? Non c’è nulla da fare, è una storia antica quanto il mondo, c’è sempre un prepotente che vuole avere ragione dell’avversario ad ogni costo e inventa pretesti per sopraffarlo. “...Superior stabat lupus, longeque inferior agnus. Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam intulit: "Cur - inquit - turbulentam fecisti mihi aquam bibenti?...” Non occorre tradurre, se ne comprende benissimo il senso.

Aggiornato il 18 novembre 2019 alle ore 10:01