Che la nuova destra plurale, trainata dall’ala radicale/identitaria del binomio Salvini-Meloni, potesse spuntarla in Umbria, era nell’aria. Ma una vittoria che somiglia a uno tsunami per la sinistra, era una previsione che si faceva fatica a immaginare. Poi, si scopre che i cittadini-elettori sono più coraggiosi e fermi nelle loro decisioni di quanto lo siano i politici chiamati a rappresentarli, o il circo mediatico che tenta con sempre minore successo di raccontarli. Allora, grazie Umbria perché non hai parlato: hai tuonato.
Considerevole la partecipazione al voto: il 64,69 per cento degli aventi diritto ieri si sono recati alle urne. D’altro canto, si sapeva che, come primo test elettorale dopo la formazione del Governo demo-penta-renziano, il voto nella piccola regione del Centro Italia, checché ne dicesse il premier Giuseppe Conte, avrebbe avuto una ripercussione nazionale. Gli umbri non avrebbero giudicato solo il governo regionale caduto sotto gli scandali nella sanità locale, ma avrebbero volto lo sguardo alla situazione politica del Paese che si trova ad essere guidato da una maggioranza parlamentare che non è tale presso l’elettorato.
I numeri della vittoria della coalizione della destra plurale sono impietosi. La candidata Donatella Tesei vince col 57,55 per cento dei consensi. Il suo avversario, in rappresentanza del campo della sinistra allargata al Movimento Cinque Stelle, Vincenzo Bianconi, si ferma al 37,49 per cento. Un distacco di 20 punti percentuali, fino a qualche giorno fa inimmaginabile nella regione “rossa” che in cinquant’anni è stata ininterrottamente governata dal Partito Comunista e dalle sigle nelle quali si è evoluto nel tempo. Se per la candidata unitaria della destra è stato un trionfo, nondimeno le sue componenti partitiche possono cantare vittoria. Tutte. La Lega di Matteo Salvini, il trionfatore assoluto di questa tornata elettorale, si conferma anche in Umbria il primo partito italiano. Con il 36,94 per cento stacca di molte misure il Partito Democratico che precipita al 22,33 per cento. Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni esulta per aver raggiunto la doppia cifra (10,39%) che lo porta ad essere in regione il terzo partito. Ma può gioire anche Forza Italia perché il 5,50 per cento conseguito, è segno di vitalità del carisma di Silvio Berlusconi che ha retto nonostante l’aggressione subita dal partito renziano di “Italia Viva” e dall’azione di disturbo svolta, nel confronto elettorale, dalla candidatura autonoma alla presidenza di Claudio Ricci che alle scorse Regionali aveva corso da candidato del centrodestra. Ricci non è andato oltre il 2,64 per cento, tuttavia alcuni dei decimali conquistati sono stati tolti al potenziale elettorale di Forza Italia.
Al contrario, per la sinistra è il disastro. Di là dal fortissimo ridimensionamento del Partito Democratico in una terra considerata casa propria, bisogna registrare il tracollo del Movimento Cinque Stelle. Domenica in Umbria si è avuta la rappresentazione plastica del tramonto di un fenomeno politico-sociale che ha tenuto banco in Italia nell’ultimo decennio. Il 7,41 per cento ottenuto ieri restituisce l’immagine di un’esperienza politica giunta al capolinea. Se le percentuali non bastano, i numeri assoluti la raccontano meglio. I grillini, appena un anno fa, al culmine della loro ascesa, alle politiche umbre ottenevano 140mila 731 consensi. Ieri ne hanno portato a casa 30mila 900. A solo un anno di distanza ci passa un mondo, o forse un abisso, tra i due risultati. Qui non si tratta di tattica elettorale sbagliata, piuttosto di spinta propulsiva esaurita. Bisogna dare atto al comico Beppe Grillo che prima di tutti gli altri aveva capito cosa stesse accadendo al Movimento. Non a caso, profittando della crisi di governo aperta da Salvini, ha pensato bene di combinare il blitz praticamente svendendo al Partito Democratico il Cinque Stelle in un momento nel quale esso ancora mantiene un peso parlamentare. I grillini, nati per fare la rivoluzione anti-establishment, nel giro di pochi mesi hanno compiuto una inversione a U, riconfigurandosi come partito garante di quegli interessi che in passato il grillismo della prima ora si era proposto di combattere. È accaduto che il voto di protesta che aveva portato in alto i pentastellati si è diretto altrove e adesso che non hanno più una prospettiva mancando di una storia radicata nella società e di una cultura politica di provenienza, banalmente non hanno neanche più ragione d’essere. Pensate che se si votasse domani da altre parti per il cinque Stelle andrebbe meglio? Dopo quello che hanno combinato al Governo nel boicottare le opere pubbliche in corso di realizzazione, al Nord conquistare lo stesso 7,41 per cento dell’Umbria di ieri equivarrebbe per uno scalatore a prendere la vetta dell’Everest.
Asseverata la vittoria travolgente, la destra plurale non si aspetti ora che il Governo giallo-fucsia faccia le valigie e sloggi dal Palazzo. Occorre che la sinistra riceva un’altra poderosa spallata per andare giù. Alle viste ci sono le Regionali in Emilia-Romagna. La destra deve vincere anche lì, riuscendo a espugnare il cuore del potere economico-politico della sinistra ex-comunista italiana. Nel frattempo, avviare un’opposizione da Vietnam parlamentare, in occasione dell’approvazione della legge di Bilancio, potrà fare il resto per disgregare la già traballante alleanza demo-penta-renziana. Finora la tattica di Salvini ha pagato: tornare al Governo del Paese passando per la conquista di tutte o quasi le regioni e le grandi città che in successione temporale andranno al voto nei prossimi mesi. Ma l’eco del responso delle urne umbre non può non essere giunto a scuotere il Palazzo più prestigioso: il Quirinale. Se l’Italia vive un’anomalia, ciò è totale responsabilità del Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella ha ritenuto opportuno pararsi dietro un’interpretazione letterale, ancorché riduttiva, del dettato costituzionale in materia di verifica dell’esistenza di una maggioranza parlamentare atta a sostenere un nuovo governo in alternativa a quello giallo-blu andato in crisi. Il Capo dello Stato avrebbe dovuto accendere un faro sulla condizione specifica del Movimento Cinque Stelle constatando il ribaltamento della sua posizione rispetto a quella presentata all’elettorato alle politiche del 2018. Ora che per prima l’Umbria ha dato l’esatta misura del gradimento di cui godono i grillini, quanto tempo occorrerà e cosa di grave dovrà accadere perché il Quirinale prenda atto della volontà degli italiani e conceda loro un passaggio elettorale? La primavera prossima potrebbe essere il momento giusto per rimettere le cose a posto.
Aggiornato il 29 ottobre 2019 alle ore 13:16