
Io penso che, alla gente comune, della prescrizione interessi davvero molto poco. Fatta eccezione per alcune grida allo scandalo quando si scopre, ad esempio, che si è prescritto un reato di violenza sessuale (non necessariamente in danno di minori), la maggioranza dei cittadini è solita accogliere le dispute sulla prescrizione – come si conta? quanti artifizi vengono messi in atto? – con un’alzata di spalle.
La galera, no. La galera interessa eccome. Se una persona, quand’anche scarcerata per avvenuta espiazione della pena, commette un reato – meglio se identico a quello per il quale fu condannata – ecco la levata di scudi, l’invocazione del “gabbio” dal quale non si dovrebbe mai uscire, se non con i piedi in avanti.
Il barometro delle condizioni di una società, delle sue aspirazioni, dei malesseri che la attraversano non muove la lancetta sulle coordinate dell’economia, ma sulle ascisse della prigione, che confina i nemici là dove si pensa debbano restare, preferibilmente in eterno.
Viviamo in un mondo nel quale non ci si emenda dal peccato, ma se ne pagano le conseguenze, in un contesto di diffusa convinzione di impunità dei cattivi.
Ecco: in questo, l’abolizione della prescrizione è un piccolo passo avanti, attraverso il quale indurre serenità nel cuore di chi pensa che in circolazione ci siano soltanto dei gaglioffi i quali l’hanno fatta franca.
Ma non per sempre.
Aggiornato il 25 ottobre 2019 alle ore 10:03