Una svolta scritta sull’acqua

Com’era facile prevedere, la tanto attesa Nadef (la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza) ad essere più che benevoli risulta sostanzialmente scritta sull’acqua.

I famosi 23,1 miliardi di euro per scongiurare l’aumento dell’Iva, malgrado le trionfali dichiarazioni espresse ai giornalisti in anteprima dal Premier della svolta, in precedenza avvocato del popolo, non ci sono, al pari di circa metà delle coperture richieste da questa ennesima manovra finanziaria da teatro dell’assurdo.

In realtà buona parte dei quattrini programmati per una Legge di Bilancio che risolva finalmente i problemi degli italiani, secondo un diffuso luogo comune della nostra politicaccia, verranno presi a prestito, con la benevolenza di una Europa che, questa volta, sarà evidentemente costretta a chiudere tutte e due gli occhi.

Ma oltre alla valanga di nuovi debiti che i geni giallo-rossi riverseranno sulle già molto incurvate spalle dei nostri figli (attualmente ogni cittadino italiano è gravato di oltre 40mila euro di debito pubblico), anche alcune delle misure poste a copertura degli oltre 30 miliardi della stessa manovra sembrano piuttosto ballerine. A cominciare dai 7,2 miliardi ottimisticamente stimati dal contrasto all’evasione (l’entusiasta Giuseppe Conte, sempre rivolgendosi alla platea di giornalisti in estasi, ha addirittura alzato l’asticella fino a 12,5 miliardi). Poi c’è tutta una serie di voci eufemisticamente vaghe, tra cui 2 miliardi di tagli non precisati alla spesa, 1,8 miliardi dalla riduzione delle agevolazioni dannose per l’ambiente (non poteva mancare ovviamente una misura “gretina”) e altri 2 miliardi dalla proroga dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione di terreni e partecipazioni. Ci saranno poi meno sgravi per i contribuenti su sanità e casa, con la conseguenza ovvia di un aumento della pressione fiscale per i soggetti interessati. Inoltre, dentro questa confusa cornice entro la quale sarà poi effettivamente varata la manovra vera e propria, sono previste alcune mancette elettorali di scarsa consistenza, viste le sempre più drammatiche condizioni del bilancio dello Stato, sotto forma dei tradizionali bonus e di un mini taglio del cuneo fiscale: 2,5 miliardi nel 2020 e forse 5 l’anno successivo.

Ma è proprio in tema di mancette che si supera ampiamente il confine del ridicolo con due provvedimenti che definirei lunari: il cosiddetto “cashback” e il superbonus della Befana. Nel primo caso si tratterebbe di un incentivo ad utilizzare i pagamenti elettronici con la prospettiva di vedersi accreditare sul proprio conto corrente uno sconto sull’Iva, addirittura nel giro di un mese. Ovviamente, vista l’enorme lentezza con la quale la Pubblica amministrazione onora i suoi debiti con le imprese, trattasi di una evidente battuta umoristica.

Nel caso del bonus-Befana, invece, è previsto un rimborso fino a 500 euro, da erogare per l’appunto intorno al 6 gennaio di ogni anno, per chi effettuerà sempre con carta di credito acquisti di beni particolarmente a rischio di evasione, come ad esempio il conto del ristorante.

Che dire? Di fronte a cotanta dovizia di finanza creativa, tale da far impallidire quella inventata da Giulio Tremonti, non posso che inchinarmi, sebbene io abbia smesso da molti lustri di credere alla citata Befana, insieme all’immancabile Babbo Natale.

D’altro canto, per prestare fede alle promesse di ripresa scritte sull’acqua dal Governo della svolta bisogna tornare un po’ bambini. Se non altro per non farsi prendere dalla disperante consapevolezza di essere nati e cresciuti in un Paese inesorabilmente destinato al fallimento.

Aggiornato il 03 ottobre 2019 alle ore 10:06