Dato l’evidente crollo nel peso politico registrato da Luigi Di Maio con la nascita del Governo giallo-rosso, la sua bella pensata di convocare i ministri pentastellati in quel della Farnesina appare semplicemente ridicola, al pari della “minaccia” di ripetere questa sorta di sabotaggio politico a cadenza settimanale. Se tanto mi da tanto, c’è da aspettarsi una crescente defezione in merito da parte dei colleghi di Giggino, soprattutto per evitare di farsi coinvolgere in una iniziativa tesa evidentemente solo a rimarcare il territorio di un capetto politico sempre più tale sulla carta. Ciò, se ce ne fosse ancora bisogno, conferma l’impressione di un Di Maio molto restio a formare una alleanza con i professionisti del Partito democratico. Alleanza determinata essenzialmente dallo spirito di autoconservazione dei parlamentari grillini e che, per soprammercato, ha necessariamente spostato su posizioni più moderate ed europeiste quest’ultimi, creando i presupposti per portare molto in alto le quotazioni del premier Giuseppe Conte, a tutto danno di un populista tutto chiacchiere e demagogia come Di Maio.
Non a caso fonti autorevoli all’interno del M5S confermano che in questi ultimi giorni si starebbe rinforzando l’alleanza, una volta solo di facciata, tra il genio di Pomigliano d’Arco e Alessandro Di Battista, numero uno in quanto proprio a chiacchiere e demagogia. Ma oramai la frittata è fatta. Dopo essersi prima sporcati -agli occhi ovviamente dei tifosi più ortodossi del grillismo- con la Lega di Salvini e poi con il Pd di Renzi-Zingaretti, non c’è più alcuna possibilità per Di Maio & company di continuare a speculare sul tasto della diversità populista, sfruttando quel malinteso senso di identificazione tra elettori ed eletti che ha portato tanti personaggi senza né arte e né parte a vincere la irripetibile lotteria di un seggio parlamentare. Soprattutto dopo l’accordo con gli antichi nemici del Pd, identificati per molto tempo dagli epigoni di Beppe Grillo come la causa di tutti i mali italiani, quell’immaginario diaframma che separava la politica italiana tra i buoni a 5 stelle e i cattivi dei partiti è inesorabilmente caduto, mettendo in evidenza ai più che la famosa superiorità morale di chi gridava sulle piazze “onestà, onestà” era solo una favola.
Stando così le cose, appare sostanzialmente superata la logica da caserma che ha portato chi regge realmente le redini del M5S a designare quale capo politico Luigi Di Maio, investendolo di poteri assolutamente inusuali in una moderna formazione politica. Oramai in Parlamento le logiche che regolano la vita interna dei grillini, così come dimostra l’adesione in massa al connubio con i dem, si sta rapidamente uniformando a quelle di tutti gli altri partiti, e dunque non esiste più la ragione di farsi comandare da un ragazzotto la cui principale, se non unica, caratteristica è una grande ambizione priva di contenuti.
Per tale motivo è assolutamente ragionevole pensare che quella sorta di Governo ombra che il neo ministro degli Esteri sta cercando di mettere in piedi durerà molto poco, visto che già dalle prime battute si è capito che esso conta meno del proverbiale due di coppe.
Aggiornato il 09 settembre 2019 alle ore 11:52