Fischi per l’Amleto grillino

Al Senato finale col botto. L’ultimo giorno di lavoro prima della pausa estiva si è concluso con un’esplosione gagliarda di fuochi d’artificio. L’occasione è stata la discussione e il voto sulle mozioni presentate dai gruppi parlamentari pro e contro la realizzazione del Tav Torino-Lione. Per l’esattezza, sei documenti dei quali due contro (Cinque Stelle e Leu) e quattro pro (Pd, Forza Italia, Fratelli d’Italia, +Europa). La Lega aveva fatto sapere in anticipo che non avrebbe presentato alcuna mozione propria ma avrebbe appoggiato tutte quelle favorevoli alla costruzione della Grande Opera. Il risultato, scontatissimo, alla fine è stato quasi tennistico. Un 180 a 109 (salvo qualche oscillazione di voto tra una mozione e l’altra) tra favorevoli e contrari che si è ripetuto ossessivamente ad ogni chiama della presidenza. Insomma, un 6-0 pesante che ha inchiodato i Cinque Stelle a una bruciante sconfitta. Al punto che ancora adesso viene di chiedersi chi glielo abbia fatto fare ai grillini di giocare all’Amleto con la Tav: essere o non essere la Grande Opera, questo è il problema. Volevano dimostrare ai propri seguaci di essere ancora i puri del dramma shakespeariano? Luigi Di Maio novello Amleto e Danilo Toninelli nelle vesti di Polonio, che poi è quello che finisce infilzato. Ma la messinscena è stata un fiasco. Anzi, un boomerang. Alla fine della fiera, è servita soltanto a dare spazio alla drammatizzazione di Matteo Salvini, il quale ha approfittato dell’autogoal grillino per imprimere alla rappresentazione un finale wagneriano. Il coup de théâtre è stato il comizio serale del “Capitano” non per ciò che ha detto ma per la scena che gli è stata apparecchiata ad arte: il bagno di folla, l’abbraccio del capo con la sua gente ambientato a Sabaudia, la cittadina laziale gioiello dell’efficienza urbanistica fascista. E quelle braccia tese che lo hanno accolto osannanti alle quali il leader ha risposto con altrettanto entusiasmo camuffato, per ragioni di opportunità, da pugno chiuso, simbolo di forza e di resistenza.

Teatro, puro teatro! Cosa cambierà? Pochissimo, anche se ieri i leghisti in Aula hanno promesso conseguenze politiche. Sono colpi a salve, grazie al contributo volontario delle opposizioni che sono corse in aiuto dei grillini e dei leghisti impedendo loro di portare il battibecco sulla Tav alle estreme conseguenze politiche. Già, perché anche quella delle minoranze, ieri, è stata teatro puro. Se il Partito Democratico e Forza Italia avessero voluto effettivamente cogliere l’occasione per far cadere il Governo non avrebbero dovuto votare alcuna mozione sulla Tav, come aveva suggerito un pragmatico Carlo Calenda. La mancata partecipazione alla surreale discussione di ieri in Senato avrebbe messo in diretta contrapposizione grillini e leghisti esclusivamente sulla mozione presentata dai Cinque Stelle. In ragione degli attuali rapporti numerici, i grillini l’avrebbero spuntata mandando in minoranza la Lega. A quel punto, chiarito che alla “Grande Opera” non sarebbe accaduto nulla giacché non basta una mozione sfavorevole in un solo ramo del Parlamento a bloccarla, il voto avrebbe costretto Salvini ad essere coerente con le minacce proferite prima dell’avvio della discussione. Il “Capitano” aveva promesso la crisi se fosse passata la mozione dei pentastellati. Ora, la caduta del Governo è andata in fumo per volontà delle opposizioni che, chiamate alla prova dei fatti, hanno dimostrato di avere a cuore la salute di questo Esecutivo sgangherato molto più di quanto non l’abbiano i diretti interessati. E poi si chiedono perché la gente non li vuole più sentire e vedere.

Ora Matteo Salvini ha l’opportunità di dettare le sue condizioni per il prosieguo dell’alleanza al partner/pungiball il quale, a sua volta, non può rifiutare se vuole restare avvinghiato alla greppia del potere. Cosa accadrà nell’immediato al Paese? Che si va tutti al mare. Qualcuno di panza e presenza, tra un mojito e un “ballo della drolla” sparato a palla dagli altoparlanti nei “Mappatella beach tour” parlerà di finanziaria dei miracoli e di Flat tax prossima ventura, ma si tratterà di promesse scritte sulla sabbia, come certi amori estivi che il mare di settembre spazza via. Verosimilmente, dai palazzi romani si partorirà un moderato riassetto degli equilibri tra forze di maggioranza. Tradotto dal politichese: rimpasto di Governo. Ci sarà da tirare giù due o tre ministri grillini per rimpiazzarli con altrettanti personaggi di gradimento del “Capitano”. Il sacrificio di Giovanni Tria, Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli, che sono nel mirino della Lega, garantirà all’odierna dirigenza pentastellata la sopravvivenza fino alla conclusione naturale della legislatura. È un’ipotesi realistica, ma non riusciamo a toglierci dalla testa il sospetto che Salvini voglia chiamare in maggioranza il partito di Giorgia Meloni. Non si tratta di spirito filantropico, ma di calcolo politico. Il “Capitano” sta andando avanti come un treno ma non può permettersi il lusso di tenere sulla ruota, da battistrada, l’inseguitore che beneficia del suo traino senza sporcarsi le mani. Se c’è da prendere legnate nei prossimi mesi, soprattutto da Bruxelles, il “Capitano” potrebbe volere nella mischia anche la Giovanna d’Arco della Garbatella. Dei berlusconiani non si preoccupa dal momento che sono riusciti a farsi fuori da soli. L’occasione per l’allargamento potrebbe venire dall’esito delle convulsioni di cui è preda la minoranza grillina di sinistra.

Roberto Fico e compagni vorrebbero un pronunciamento immediato della base del Movimento per decidere se proseguire o meno il “Contratto” con la Lega. Su questa richiesta la possibilità di una scissione prenderebbe quota. Con i grillini spezzati in due tronconi e Luigi Di Maio ostaggio di Salvini, anche il Partito Democratico andrebbe incontro a una spaccatura con la fuoriuscita del gruppo renziano in rotta verso i lidi centristi dove sarebbe raggiunto dai alcuni dei naufraghi di Forza Italia. Sì che a settembre ci ritroveremmo al rientro dalle vacanze nella singolare situazione di avere un premier de facto, Salvini, che governa tenendo al loro posto tutte o quasi le statuine del presepe istituzionale, a cominciare dal figurante foggiano nella parte dell’inquilino di Palazzo Chigi. Certo che noi italiani in fatto d’immaginazione siamo imbattibili. In questo bollente 8 di agosto, come vaticinava Ennio Flaiano, la situazione politica in Italia è grave ma non è seria. Non siamo in Sudamerica, ma nel Paese di Bellavista e del melodramma dove, “potenza della lirica, ogni dramma è un falso”.

Aggiornato il 09 agosto 2019 alle ore 10:01