Salvini rischia la rivolta dei produttori del Nord

La questione sempre più calda della cosiddetta autonomia differenziata rischia di rappresentare qualcosa di più di una buccia di banana per Matteo Salvini.

Egli, pur essendo brillantemente riuscito a trasformare la Lega in una forza politica di respiro nazionale, deve ora fare i conti con il crescente scontento delle zone del profondo Nord, laddove è nato e si è sviluppato il suo partito. Scontento il quale si sta per l’appunto focalizzando sul tema dell’autonomia.

Ora, sebbene le richieste avanzate soprattutto da Lombardia e Veneto non appaiono a tutta prima particolarmente onerose e tali da alterare significativamente i trasferimenti di risorse da Nord a Sud, esse potrebbero tuttavia costituire un formidabile veicolo per far uscire allo scoperto un antico, e per molti versi giustificato, rancore popolare nutrito nei confronti della componente tradizionalmente più assistita del Paese.

Ma tutto ciò, tornando al piano politico, rischierebbe di vanificare la strategia messa da tempo in atto dall’attuale leader leghista, riportando il suo partito ai tempi in cui la questione del residuo fiscale, ovvero il disavanzo tra entrate e uscite che da sempre penalizza le regioni settentrionali, rappresentava un vero e proprio Rubicone invalicabile per chi prendeva i voti al grido di “Roma ladrona”. E in questo senso non aiutano certamente Salvini le ultime novità sulla Sicilia di Nello Musumeci, eletto governatore anche con i voti della Lega, la cui giunta avrebbe approvato in questi giorni una norma per estendere di oltre 100 unità il già altissimo numero di dirigenti regionali. Basti pensare, tanto per farci un’idea, che la stessa Regione Sicilia attualmente ha in forza circa 1400 dirigenti, ossia oltre un terzo (il 37%) di tutti i dirigenti regionali d’Italia. Inoltre, sempre per avere un quadro d’insieme abbastanza chiaro, la stessa Sicilia si caratterizza per il record negativo di occupati nella fascia di età tra i 20 e i 64 anni, con un deprimente 44,1 per cento, contro il 63% della media nazionale, la quale supera ampiamente il 70 per cento proprio nelle storiche roccaforti della Lega.

Se poi aggiungiamo a tutto questo il diffuso mal di pancia settentrionale nei confronti dell’alleanza con il Movimento 5 Stelle, sempre più identificato dai leghisti del Nord come il partito dell’assistenzialismo meridionale, appare sempre più evidente che sul tema summenzionato dell’autonomia differenziata Salvini non potrà accettare alcun passo indietro, anche se un irrigidimento della Lega su tale fronte metterebbe seriamente a repentaglio la sua vocazione nazionale.

D’altro canto, che l’Italia fosse un Paese economicamente disunito si sapeva e questo, soprattutto dopo la strana alleanza tra due forze espressione di due culture economiche abbastanza contrapposte, non poteva alla lunga non creare un grande problema per il leghista Salvini. Un problema che, in conclusione, costituisce un ulteriore argomento a favore della sempre più nutrita fazione leghista che chiede di staccare al più presto la spina al Governo in carica.

Aggiornato il 23 luglio 2019 alle ore 10:27