Suicidio e pena di morte, l’Europa cerca buonsenso

Il suicidio della giovane olandese Noa Pothoven ha seminato sgomento nelle coscienze di tanti, altri per partito preso (soprattutto sui social) hanno plaudito al “bel gesto” come “segno di progresso e libertà”. Francamente in troppi non hanno compreso le sofferenze psicologiche della giovane (fin troppo sensibile) e nemmeno che, nessuna sentenza di tribunale olandese avesse autorizzato l’eutanasia. Noa s’è lasciata morire da sola. S’è rivelata falsa la notizia dell’atto pubblico che ne autorizzava l’eutanasia. Anche perché in Olanda, Danimarca, Svezia e Norvegia occorre per i minorenni (e Noe lo era) il consenso d’entrambi i genitori, avallato da un atto del competente foro dei minorenni.

Rimane il fatto che, nelle nazioni del Nord Europa l’eutanasia faccia parte del corpus giuridico da molto tempo: perché la cultura dei popoli nordeuropei è tanto distante dalla cattolica Italia, dalla visione mediterranea della vita. Il calvinismo ed il luteranesimo hanno rappresentato il grande spartiacque dal cristianesimo di matrice cattolica romana. Una separazione che ha sedimentato, nell’Europa oltre il Reno, una visione del mondo che non può prescindere dal connubio tra felicità e perfezione, in antitesi con la povertà e disgrazia che agevolano la strada della beatitudine.

Ma, comunque la pensiate, in Italia (ed in Europa) s’aggira un demone dall’apparente volto umano: sui social si scatena e fa proseliti tra i cretini d’ogni fazione. Il buon diavolo giustifica da un lato l’indifferenza (la spande per il Paese come atteggiamento responsabile, utile a meglio integrarsi in Europa) e dall’altro aizza gli indignati contro ogni nuova. Il demone (per ora alloggia su Facebook) sta forgiando un nuovo diffuso senso comune nel Vecchio Continente, anzi sta creando due comunità: da un lato gli indifferenti al suicidio che auspicano eutanasia e pena capitale, e dall’altro il partito della vita sempre e comunque. I primi si confermano un fritto misto di teorie maltusiane (forse non conoscono nemmeno un rigo del reverendo Malthus) e reputano (da animalisti ambientalisti) che il primo fattore d’inquinamento planetario sia quello antropico: cioè l’uomo, a cui augurano la morte per salvare il Pianeta. Invece i secondi reputano che il Pontefice romano debba nuovamente impugnare la spada contro i protestanti di Fiandra. In questa lotta (lo scrivente è per la vita e contro la pena di morte) qualche Solone (e ne contiamo sempre troppi) ribatterà che i concetti di Europa e di morte si sono sempre coniugati, favorendo vette letterarie impensabili per i nuovi mondi anglosassoni come per il pensiero teutonico. Un po’ come Gustav “von” Aschenbach, personaggio di Thomas Mann in “Morte a Venezia”, che ha interamente dedicato la propria esistenza a coniugare l’arte come ascesi verso una morte preceduta dall’innamoramento efebico. Che bell’affresco decadente! Intanto la “gente inutile” (l’uomo della strada) si domanda: “Ma come, in Europa si chiede diminuisca la pressione demografica e poi s’aprono le frontiere a chiunque?”.

Capita anche che un giovane si suicidi, e prima del gesto scriva una lettera che punta il dito contro la classe dirigente italiana ed europea. Le statistiche solo in parte rimbalzano sulle cronache di provincia, parlano ormai di 1,5 suicidi al giorno: è toccato ad una signora di 53 anni in difficoltà a Genova (aveva negozio sotto il ponte Morandi) ed ancora in Liguria un ragazzo pressato dai problemi familiari. Intanto la politica va avanti, ed usa il binomio eutanasia-suicidio solo per attrezzare scaramucce televisive.

E’ vero, in Olanda un adulto in profonda depressione può chiedere l’eutanasia per motivi economici, non sopportando di non sortire più dall’ormai nota “povertà irreversibile”. È anche vero che alcuni politici francesi (vicini a Macron come alla Le Pen) caldeggino la reintroduzione della pena di morte per contrastare il terrorismo.

La “pena di morte” è stata introdotta nel Trattato di Lisbona del 2010 a seguito di uno studio della Commissione europea sull’incremento dei crimini e suoi eventuali deterrenti. Il problema di una sua reintroduzione era stato sollevato per la prima volta da un giurista tedesco, Karl Albrecht Schachtschneider, durante una sua lezione sulla “Carta di Nizza” del 2007. Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il primo dicembre del 2009, ratificato da tutti gli Stati membri dell’Ue: modifica ed integra due precedenti trattati (il Trattato sull’Unione europea, o Tue, ed il Trattato che istituisce la Comunità europea), apportando sostanziali modifiche all’ordinamento. Ma, fortunati noi, la pena di morte è rimasta monca, e nessuno ha ancora sollecitato l’applicazione della reintroduzione da parte dei Paesi membri. Perché potesse tornare la ghigliottina, è stato modificato l’articolo 6 del Tue, e nella parte che prevede la “salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. L’Unione europea si starebbe orientando da un lato verso scelte liberticide, e dall’altro verso quell’estremo arbitro rappresentato dal suicidio. L’Europa di fatto è una divinità greca, e si spera che durante la tragedia venga dato ascolto al buon senso di Roma.

 

Aggiornato il 06 giugno 2019 alle ore 16:47