
Mariano Bottari, Pasquale Romano, Silvia Ruotolo, Luigi Sequino e Paolo Castaldi, Annalisa Durante, Fabio De Pandi, Valentina Terracciano. Vi chiederete chi siano costoro. Sono tutti morti, vittime innocenti degli errori commessi dalla camorra nel compiere agguati o regolare le proprie faide. Sono parte di un folto elenco di vittime, che va molto indietro nel tempo. Non più persone, sono storie, a volte dimenticate, di come Napoli viva da sempre sovraccaricata dell’agire imprevedibile del Fato.
Sono testimonianze mute di vita vissuta in archi temporali a differente apertura angolare. Mariano Bottari, aveva 75 anni quando, il 28 luglio 2014, si è trovato nel bel mezzo di un conflitto a fuoco. Era pensionato, assisteva la moglie invalida, ha avuto il tempo di godersi i sei figli e i nipoti. Valentina Terracciano, invece, aveva solo due anni quando il 12 novembre del 2000 si prese i proiettili destinati allo zio, Fausto Terracciano, obiettivo incolpevole dei sicari di un clan che avrebbero dovuto ammazzare il suo fratellastro, Domenico Arlistico, nel frattempo resosi irreperibile. Per Valentina l’arco temporale di vita si era appena dischiuso. Come per la piccola Noemi, vittima della sparatoria avvenuta giorni orsono a Napoli nella frequentatissima Piazza Nazionale, che in queste ore lotta tra la vita e la morte nel reparto di chirurgia pediatrica dell’Ospedale Santobono del capoluogo campano. Non è certo che Noemi sia stata un danno collaterale di una “stesa” di camorra o una vittima dell’overdose di ferocia che rende letali talune dinamiche umane. Saranno le indagini a stabilirlo. Ma che killer agiscano incuranti delle persone che affollano i luoghi degli agguati non è una novità delle ultime ore. Eppure, di Noemi si è voluto fare un caso politico. Il suo dramma si è colorito di un tocco di oscenità donatole dalla demagogia a sfondo elettorale che si è appropriata simbolicamente del suo corpicino per esibirlo in una macabra messinscena d’indignazione buonista. Noemi è diventata l’arma rivolta alla nuca del capo della Lega Matteo Salvini.
Le anime belle di una certa sinistra si sono scagliate contro il ministro dell’Interno raccontando una balla colossale. Ad ascoltarle sembrava che la violenza criminale nel napoletano fosse un fenomeno sorto negli ultimi mesi, in corrispondenza della salita del leghista al vertice del Viminale. Benché sia inevitabile, in circostanze di competizione politica, esasperare i toni della critica verso l’avversario, è sgradevole assistere alla manipolazione della realtà in modo tanto sfacciato. Nella sua invettiva antisalviniana il sindaco Luigi De Magistris delinea l’esistenza di una doppia città alle falde del Vesuvio: una Napoli buona, solidale, di sinistra, pro-migranti, portatrice di nobili sentimenti, migliore, che in lui si riconosce ma che sarebbe costretta a convivere con un’altra Napoli, del malaffare, della violenza organizzata, “laurina”, razzista, della corruzione e del sopruso della criminalità organizzata per la quale lui declina ogni responsabilità. Quest’ultima non avrebbe alcuna consonanza con la Napoli migliore, per cui a contrastarne l’espansione dovrebbe provvedere esclusivamente lo Stato.
Troppo comodo raccontarla così: il buono intestato all’odierna sindacatura che amministra Napoli e il male roba di pertinenza dello Stato. Il fenomeno camorristico è intrinsecamente connesso allo sviluppo storico, economico e sociale della città. Si è sviluppata nel tempo una cultura, presente in alcune componenti del tessuto cittadino, che pur solo rasentando l’illegalità nelle azioni, ha fatto di una certa “mafiosità” comportamentale la propria cifra identitaria. Poi, i punti di contaminazione tra buoni e cattivi sono molti di più di quanti ne emergano in superficie. Se le scene di violenza mostrate in televisione sono ascrivibili alla parte bestiale dell’articolato bacino di drenaggio della malavita, vi è un’altra componente, altrettanto nutrita, che non è visibile ad occhio nudo ma che c’è, vive e prospera dei proventi illeciti prodotti dal malaffare camorristico. Tale componente è radicata nel cosiddetto lato perbene della società napoletana ed è annoverabile nel ceto medio-alto. Schiere di ricchi imprenditori, di stimati professionisti: avvocati, notai, ingegneri, commercialisti, medici, architetti, geometri, ragionieri e dipendenti della Pubblica amministrazione, che campano o arrotondano le entrate grazie al lavoro che gli procura la camorra. Si tratta di quelle “anime belle” che, presentandosi all’occhio del mondo specchiate e illibate, dentro sono più lerce e puteolenti del letame. Costoro si ripuliscono le coscienze assumendo arie da progressisti, financo “radical” se serve. Non disdegnano di scegliere ad amministrare la città rappresentanti politici il cui atteggiamento protestatario resta funzionale alla sublimazione dell’immagine di un ente locale culturalmente “borbonico”.
Intendiamoci, è dovere del Governo predisporre politiche, risorse e strumenti idonei a combattere la criminalità, ma non è accusando Salvini di fare selfie che si contribuisce alla soluzione del problema. Il ministro dell’Interno si è recato ieri in visita alla giovane vittima della sparatoria di Piazza Nazionale. Ora cosa diranno le “anime belle” della sinistra radicale e antagonista? Lo accuseranno di fare campagna elettorale sul corpo agonizzante di Noemi? È questa smaccata demagogia a togliere credibilità all’intricato mondo di una sinistra rancorosa e arrogante. Sono le sue manifestazioni faziose a farci rimpiangere i tempi in cui un’altra sinistra, sobria e tetragona, trovava il coraggio di fare fronte comune con gli avversari politici nei momenti di emergenza nazionale. Nulla ci è più lontano del pensiero di Enrico Berlinguer o di Pietro Ingrao. Tuttavia, siamo certi che costoro mai avrebbero sequestrato le membra straziate di una bambina in coma per farne un feticcio da campagna elettorale. Cari compagni, neanche vi chiediamo di provare vergogna per i comportamenti provocatori di queste ore, sarebbe del tutto inutile.
Aggiornato il 08 maggio 2019 alle ore 09:59