Il giovane uomo inopinatamente assurto a vice presidente del Consiglio, ministro del Lavoro, ministro dello Sviluppo economico (essendo malpratico dell’uno e dell’altro) ha collezionato, fin dall’insediamento, una collana di sfrontate vanterie che avrebbero dovuto fargli perdere da un pezzo tutto il credito che in democrazia bisogna pur concedere ai governanti scelti dal popolo secondo il processo costituzionale.
Il nostro Voltaire, sotto la voce Orgueil (Orgoglio) del “Dizionario filosofico”, scrive: “Sebbene i sentimenti di orgoglio e vanità non siano per nulla convenienti a un così debole animale come è l’uomo, noi potremmo tuttavia perdonarli a un Cicerone, a un Cesare, a uno Scipione. Ma che nel fondo di una delle nostre province semibarbare, a un uomo che sia riuscito a comprare una piccola carica pubblica, e abbia pubblicato una mediocre raccolta di versi, venga in mente di essere orgoglioso, è una cosa che può far ridere un bel po’”.
Nel nostro caso, orgoglio e vanità non provengono dall’acquisto illecito di cariche pubbliche grandi o piccole, e neppure dalla pubblicazione di pensosi studi o d’ispirate poesie, ma dall’improvvida investitura di un elettorato tanto ingannato da quel candidato quanto illuso dalle proprie aspettative. Ed è proprio la fonte del suo potere che ha distorto il cervello del nostro governante, e da locale miles gloriosus lo ha mutato in rei publicae funestus. Sempre Voltaire, sotto la voce Esprit faux (Cervelli storti) nota che, quando insegnate a tali uomini un po’ di geometria, essi la imparano abbastanza facilmente, “ma, strana cosa, il loro cervello non si raddrizza per questo: essi scorgono la verità della geometria, ma ciò non li abitua a pesare le probabilità; hanno preso il loro dirizzone e ragioneranno storto tutta la vita”. E conclude che “ci sono sventuratamente molte maniere di farsi dei falsi giudizi e ciò può provenire: 1) dal non aver esaminato se il punto di partenza è esatto, affannandosi poi a trarne conseguenze logicamente giuste, ed è un caso molto comune; 2) dal trarre conseguenze arbitrarie da un principio generalmente accettabile”.
La radice dell’incapacità di governo e dunque della pericolosità politica di siffatta personalità pubblica sta nella spossante mutevolezza dei suoi giudizi e delle sue azioni, nell’incostanza dei propositi, nell’ottusa certezza di poter volere e disvolere gli opposti, senza consapevolezza, neppure vaga, della voltairiana “verità della geometria”. Tant’è: Tav e no Tav; Tap e no Tap; obbligo flessibile di vaccinazione; Ilva no e sì; trivelle sì e no; F-35 un po’ sì e un po’ no; Muos no, sì, ni; America amica, Russia non nemica, Cina né amica né nemica. Come in un continuo stato di trance politica, tra mondo virtuale e reale.
Le prove già accumulate in un solo anno sono schiaccianti, e non riguardano i dettagli, ma l’essenza: innanzitutto il reddito di cittadinanza, concepito e regolato paradossalmente come stimolo all’occupazione mediante la senseria dello Stato. Spergiurarono che l’incentivo non sarebbe stato finanziato con nuovi tributi o nuovi debiti, ma con le entrate esistenti, mai tuttavia specificate nero su bianco. Infatti il reddito di cittadinanza, divenuto legge, viene pagato con il corrispondente ammontare di nuovo debito pubblico. Questo corposo incremento di debito pubblico è stato addirittura salutato dal gongolante Monsieur le Deficit sul balcone del Governo come una straordinaria e meritoria vittoria sulla bieca Europa, proterva nel volerci impedire di firmare altre cambiali.
Non si era mai visto nella Storia un ministro esultare coram populo per aver indebitato rovinosamente lo Stato e gridare al contempo di “aver abolito la povertà” mentre impoveriva il popolo.
Aggiornato il 15 aprile 2019 alle ore 10:44