La bomba libica e i danzatori italiani sul Titanic

I media nostrani ci inondano di futilità a proposito delle punzecchiature di spillo che si scambiano i due leader di governo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, mentre c’è un mondo appena fuori dell’uscio di casa nostra che sta esplodendo e la cui onda d’urto ci investirà frontalmente. È della Libia che parliamo.

Fateci caso, le notizie da quel fronte di guerra vengono messe in secondo piano. Come se fosse una crisi qualsiasi, scatenata a distanze siderali dai nostri confini. Meglio allora perderci dietro le baruffe di Salvini e Di Maio? Come se non si sapesse che è tutto teatrino per fare profitto elettorale in vista della verifica di maggio alle europee. Ma chi se ne frega di loro, se ci casca il mondo addosso. Dagli ultimi eventi libici l’Italia è drammaticamente fuori gioco. La partita pare sia diventata affare privato tra le dinastie del Golfo con la partecipazione interessata di alcuni attori europei e del Vicino Oriente. Con Khalifa Haftar stanno gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita e l’Egitto. Con Fayez al-Sarraj ci sono il Qatar e la Turchia. Dall’Europa, con il primo sono in campo la Federazione Russa e la Francia, con il secondo dovrebbe esserci l’Italia, ma al momento nessuno risponde al citofono di Palazzo Chigi. E gli Stati Uniti? Come al solito fanno i loro interessi. Dopo aver promesso una cabina di regia all’Italia per risolvere il puzzle libico, nelle ultime settimane si sono tirati indietro per favorire i preziosi alleati mediorientali.

Anche Donald Trump ci ha voltato le spalle come fece nel 2011 il suo predecessore Barack Obama il quale, per garantirsi l’intesa con l’asse franco-germanico, diede il via libera all’aggressione neo-colonialista di Nicolas Sarkozy alla Libia. Con ciò confermando che nelle relazioni internazionali non esistono amici ma solo soci o concorrenti in affari. Se è vero che siamo stati tagliati fuori cosa si aspetta a combinare una mossa che faccia saltare il tavolo? L’odierno quadro delle alleanze ci obbliga a stare dalla parte di al-Sarraj, anche se il re travicello dello scenario libico è sostenuto da gruppi che si rifanno ai Fratelli Musulmani che non sono propriamente i partner ideali con cui sedersi a tavola.

Ha ragione Souad Sbai a denunciare, dalle colonne del nostro giornale, l’alleanza contro-natura con i fautori dell’integralismo islamico, ma non si può fare diversamente visto che la tribuna degli sponsor di Haftar è sold out. Resta un solo punto sul quale possiamo ancora far leva per trovare una via d’uscita che non ci obblighi a vendere l’anima al diavolo. I sostenitori esteri di Haftar hanno dato il via libera alla conquista di Tripoli a condizione che avvenisse per adesione delle tribù ostili e non per effetto di un’aggressione militare. Lo abbiamo scritto ieri e rischiamo di essere ripetitivi: l’unica è di aumentare la presenza del contingente militare italiano che di fatto funzionerebbe da forza d’interposizione tra le parti in conflitto. Con gli italiani di mezzo nessuno sponsor estero, neanche la Francia di Emmanuel Macron che ci ama tanto, oserebbe autorizzare un bombardamento da parte del Libyan National Army di Haftar col rischio di colpire le nostre truppe. In pratica, dovremmo fare, da soli, quello che da anni facciamo con ottimi risultati sul confine israelo-libanese, su mandato delle Nazioni Unite, con l’operazione “Unifil”. Il “generalissimo” sarebbe costretto a fermare l’offensiva e a ritornare al tavolo negoziale. Ma per fare la mossa del cavallo occorrerebbe avere un Governo che sappia di scacchi. E di strategie geopolitiche.

Francamente siamo rimasti sconcertati nell’udire le parole del premier Giuseppe Conte che ha annunciato la sua mirabolante iniziativa: una telefonata ad Haftar per convincerlo a desistere dal trascinare la Libia in una sanguinosa guerra civile. Peppino, ma dove vivi? Guarda che la guerra civile in Libia c’è dal 2011 e non è mai cessata. Al più, si può dire che sia a intensità variabile, alternandosi momenti di apparente calma ad altri segnati dal riacutizzarsi degli scontri. La via diplomatica in una realtà quale la Libia con interessi economici in gioco fortissimi non produce gli effetti sperati. i libici si combattono e continueranno a farlo per mettere le mani sulle royalties petrolifere. Ecco perché tutti gli accordi finora sono stati scritti sull’acqua. Senza la determinante del sintagma della guerra non si approda a nulla. Ora, il problema non è se lasciare o no che si scannino fra di loro, ma chi si porrà tra le parti, pistola alla cintola, a dire: basta! La domanda che tutta la politica italiana dovrebbe porsi è: quanto siamo disposti a rischiare per la Libia? Che ne sottende un’altra fondamentale: quanto conta per noi la Libia? Di là dagli aspetti economici legati alle risorse energetiche del Paese, alla questione migratoria e ai rischi connessi alla minaccia terrorista, il destino del Paese nordafricano resta intrecciato al nostro molto più di quanto s’immagini.

Qualsiasi sbocco avrà la crisi libica, esso si ripercuoterà sugli interessi economici, strategici e sociali dell’Italia. Perciò non basta una telefonata. Ma a sentire ciò che dicono, dal Governo e dalle opposizioni, non abbiamo alcuna fiducia che abbiano capito in che guaio ci stiamo cacciando se si perde la Libia. Eppure, se il Governo italiano agisse il mondo ci ringrazierebbe. Il solo scoppiare della crisi sta facendo galoppare il prezzo del petrolio. Figurarsi cosa accadrebbe sui mercati se la situazione degenerasse. Questa mattina il Wti (West Texas Intermediate) è in salita a 64,42 dollari al barile, in quasi parità con il Brent (64,49 $). Se continua di questo passo non ci vorrà molto per sforare il tetto dei 76,19 dollari raggiunto il 3 ottobre dello scorso anno. Se si considera il profondo rosso della produzione nel comparto dell’automotive e l’inevitabile aumento del costo della bolletta energetica, scordiamoci di uscire in tempi brevi dalla recessione. Fermare le tribù che si combattono per denaro sarà pure uno sporco lavoro ma qualcuno dovrà pur farlo. E visto che siamo noi italiani a restare bolliti se si rovescia il calderone libico, ci tocca intervenire. Non è più tempo per i pesci in barile. Soprattutto se colorati di giallo e di blu.

Aggiornato il 10 aprile 2019 alle ore 10:26