La linea del Piave delle scimmie al volante

In merito alla farsesca situazione che si è creata sulla Tav, facendo riferimento per l’ennesima volta al grande Ennio Flaiano, dobbiamo convenire che essa sia molto grave ma assolutamente poco seria.

A cominciare dalla vera e propria pagliacciata di una analisi costi/benefici affidata ad un noto professorone No-Tav (il quale in una recente audizione in Parlamento ha comicamente dichiarato che non esiste più la necessità di ridurre il traffico su gomma, dato che negli ultimi vent’anni i Tir hanno ridotto moltissimo le loro emissioni), per finire con l’allineamento a tappe dell’ex mediatore Giuseppe Conte sulla posizione irresponsabile del partito che lo ha portato a Palazzo Chigi, ossia il Movimento 5 Stelle. Un M5S il quale, al di là di qualunque dietrologia, si trova a sostenere fino all’ultimo uomo questa sorta di immaginaria linea del Piave per due ragioni fondamentali: a) in primis per aver colpevolmente preso per oro colato fin dall’inizio della sua storia politica il delirio di un comico che, al pari di tante altre scemenze portate in giro in questo disgraziato Paese dominato dall’analfabetismo funzionale, ha creato una sorta di religione con un indigesto condensato di dogmi estrapolati al bar dello sport o in altri simili luoghi di dotto confronto scientifico e filosofico. In tal senso il no alla Tav, ripetuto all’infinito come un mantra, è stato interiorizzato dal popolo grillino come una sorta di verità rivelata; b) in secondo luogo, dopo che non Matteo Salvini bensì la realtà ha costretto i grillini al Governo ad ingoiare uno dietro l’altro una serie infinita di rospi, tra cui la Tap di Melendugno e l’Ilva di Taranto, subissati dalla schiacciante concorrenza elettorale del loro alleato/serpente della Lega essi si trovano nella vitale necessità politica di impedire lo sblocco di questa importante infrastruttura ferroviaria.

Ovviamente a questi forsennati dell’onestà, la cui incompetenza sembra pari solo alla cieca ostinazione con cui difendono il loro impressionante bagaglio di progetti dissennati, poco importa se bloccando la Tav l’Italia perderebbe ciò che resta della sua credibilità internazionale, causando al Paese una sorta di ostracismo economico da parte degli investitori mondiali. E neppure la nostra esclusione dai grandi corridoi ferroviari trans-europei, con enormi danni per una economia di trasformazione come quella italiana, sembra smuovere gli irriducibili rappresentanti di una forza politica che si è formata sul mito della cosiddetta decrescita felice. Un mito che presuppone un “salutare” ridimensionamento del Pil, considerato dagli ideologi a 5 Stelle un valore fuorviante, ma che cozza maledettamente con la loro inclinazione a regalare redditi di cittadinanza e ad imporre salari minimi.

D’altro canto, se questa gente si trova nella stanza dei bottoni dopo aver prospettato di far coincidere il ritorno a forme arcaiche di sviluppo con l’idea di un welfare degno dei sistemi economici più avanzati, non è certo colpa loro. La responsabilità in questo caso ricade completamente su tutti quei milioni di elettori che si sono bevuti senza fiatare le loro incommensurabili panzane.

Aggiornato il 09 marzo 2019 alle ore 13:35