I pannicelli caldi di Gigino

Il tracollo registrato dal Movimento 5 Stelle in Sardegna, in cui i grillini hanno perso oltre tre quarti dei consensi ottenuti nelle politiche dello scorso anno, rappresenta in estrema analisi il segnale inequivocabile dello sfaldamento quasi irreversibile cui è soggetto questo partito/setta dal suo ingresso nella stanza dei bottoni. In tal senso, non posso che convenire col mio amico Arturo Diaconale quando sostiene che un simile “declino accelerato può essere interrotto solo con un sollecito ritorno all’opposizione”. Anche se, mi permetto di aggiungere, il frutto avvelenato di una così disastrosa esperienza di governo difficilmente smetterà di spargere le sue tossiche esalazioni su un una forza politica che, basandosi sui meccanismi più regressivi e deteriori della psicologia di massa, ha fatto delle illusioni all’ingrosso la sua principale cifra politica.

Incuranti della colossale contraddizione in termini esistente dalla delirante teoria legata alla cosiddetta decrescita felice in rapporto all’altrettanto delirante reddito di cittadinanza (in pratica era come voler incitare il sistema a produrre di meno ma a ridistribuire di più), gli epigoni di Beppe Grillo sono stati rapidamente sopraffatti dalla realtà dei fatti una volta varcato il Rubicone che li separava dagli odiati palazzi del potere. E a nulla sono servite le continue correzioni di rotta, sostanzialmente di pura facciata, con cui il capo politico Luigi Di Maio ha tentato di raddrizzare la pericolante baracca pentastellata. Né l’autolesionistico colpo di genio di riportare il movimento su posizioni oltranziste, richiamando in patria il “pasionario Dibba”, poteva mai funzionare e né, come all’indomani della batosta alle regionali sarde, l’ideona di superare il vincolo del doppio mandato sarà minimamente in grado di bloccare l’emorragia di consensi in atto. Anzi, codesto ennesimo, ragionevole tributo alla medesima realtà, su cui nessuna pulsione di tipo primordiale sarà mai in grado di prevalere, è destinato a creare ulteriore sconcerto dentro una base politica che in gran parte si è bevuta tutta d’un sorso la pozione di una presunta diversità cromosomica dei suoi eletti. Sotto questo profilo, il pur encomiabile sforzo operato da Gigino di mettere l’ennesima toppa nello scafo sfondato di una nave politica oramai quasi alla deriva finirà per essere ben peggiore del buco.

In questo senso, il sano realismo in extremis con cui Di Maio cerca disperatamente di risollevare le sorti politiche del M5S contribuirà unicamente a far uscire più rapidamente dal sogno – vero e proprio incubo per noi liberali – i milioni di cittadini che hanno inconsapevolmente concesso le chiavi del Paese ad un partito/setta che, promettendo il paradiso in terra, li ha convinti a credere ciecamente nei loro inverosimili dogmi. A cominciare da quello secondo il quale “uno vale sempre uno”. Da tale punto di vista la tanto bistrattata “legge di ferro dell’oligarchia”, formulata oltre un secolo fa da Robert Michels, appare solida come il granito rispetto alle affascinanti farneticazioni degli utopisti a 5 Stelle.

Aggiornato il 28 febbraio 2019 alle ore 10:58