Il cosiddetto “regionalismo differenziato” promosso dal Governo gialloverde va rapidamente rivisto in chiave critica. Non vi è alcun dubbio. Anche perché, senza un fondo nazionale di perequazione, una siffatta misura determinerebbe delle storture non più ricomponibili. Così, il governo sovranista-nazionalista, alla bisogna, e solo per le regioni più ricche e nordiste, si trasformerebbe, con un incantesimo, in sovranista nord-regionalista. Praticamente, un mostro politico, oltre che giuridico ed economico. Il gap enorme che si registra a proposito del confronto tra il Nord e il Sud del Paese sarebbe ulteriormente ingigantito. È del tutto evidente l’intenzione dell’esecutivo penta-leghista in materia di autonomie. A parole, i due dioscuri dell’Esecutivo promuovono l’unità nella concordia e nello sviluppo armonico del Mezzogiorno d’Italia, nei fatti, invece, vogliono sferrare il colpo per mettere, definitivamente, al tappeto il Sud. Così, invece di aiutare chi si trova più indietro, come le regioni del Meridione, i nostri governanti pro tempore avrebbero intenzione di premiare, colpevolmente, ancora una volta, il Nord. Un Settentrione che si vuole sempre più produttivo. Sempre più all’avanguardia. A discapito della parte meridionale del Paese che accuserebbe un ritardo, purtroppo, incolmabile.
La miopia dell’esecutivo oltre che proverbiale è storica. Infatti, non si riesce a comprendere un ragionamento semplice: la crescita del Paese deve passare dal Sud. Perché? Tutti ricordano, a sproposito, il mitico e lontanissimo boom economico a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Eppure, chi guida il Paese, con tutta evidenza, avrà trascorso poche ore davanti ai libri di storia. Perché chi quelle pagine le ha studiate a fondo, non potrà che convenire su un aspetto dirimente: il boom fu il risultato di interventi infrastrutturali nel Mezzogiorno. Ergo: l’equazione è solo in apparenza paradossale. Ma, con tutta evidenza, è storicamente incontrovertibile: lo sviluppo è possibile laddove ci si trovi in presenza di un acclarato sottosviluppo. Già. Perché nelle più ricche zone del Nord l’espansione è sempre risultata minima. D’altro canto, l’investimento al Sud ha, sempre, prodotto, uno valore positivo per migliaia di nuclei familiari e per intere zone del Paese. Lo sostengono i più avverti economisti: l’unico modo per rilanciare il Prodotto interno lordo italiano è investire nel Meridione. Non a caso, le trattive con Bruxelles focalizzano l’attenzione sempre sul nostro Pil nazionale.
Come sempre, nella storia del Paese, la questione meridionale è centrale nel dibattito politico-economico-culturale. La discussione sul “regionalismo differenziato” viene così definita “risolutiva” per fuorviare dal problema reale al centro dell’analisi. È il classico confronto sul dito che indica la Luna. Se i nostri governanti continueranno a guardare il dito perderanno di vista la Luna. Ma è della Luna che bisogna parlare. Per varare una nuova stagione di sviluppo, per inaugurare un nuovo boom economico, è del tutto evidente che occorra tornare ad investire nel Sud. Ma, a quel punto, le classi dirigenti del Mezzogiorno dovrebbero assumersi, seriamente, le responsabilità di favorire, di arricchire, di stimolare gli investimenti. Il core business per il Sud è rappresentato da due dogmi irrinunciabili: creare infrastrutture e promuovere il lavoro. Pensare di risolvere i problemi di intere generazioni di giovani e meno giovani elargendo un’elemosina di Stato come il cosiddetto reddito di cittadinanza offende la capacità e l’intraprendenza di chi vuole contribuire a rilanciare la nostra economia, con il lavoro, la passione e la produttività.
Aggiornato il 20 febbraio 2019 alle ore 11:53