La manovra del Governo grillo-leghista ha confermato i peggiori timori. Come ha scritto il direttore della Svimez, Luca Bianchi, l’unico impatto sulla dinamica del Pil proviene dall’incremento dei trasferimenti alle famiglie, per il reddito di cittadinanza e quota 100. Anche se in realtà si tratta di un impatto modesto. Il Mezzogiorno, in assenza di altri interventi differenziali, è condannato all’identificazione con il reddito di cittadinanza. Una misura pauperista che, alla prova dei fatti, si dimostrerà inefficace. Peraltro, il reddito di cittadinanza, con la correzione operata, perde circa 1,9 miliardi di stanziamenti, facendo scendere la dotazione finanziaria complessiva a 7,1 miliardi, di cui un miliardo per i centri dell’impiego, rispetto ad un fabbisogno stimato dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, in base alle ipotesi illustrate dal governo, in circa 16 miliardi. A questo punto, è evidente che il taglio delle risorse dovrà fare scendere, inevitabilmente, la platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza molto al di sotto degli annunciati 5 milioni di individui. Qual è il rischio attuale? Che venga erogato un contributo medio di poco più di 300 euro. Siamo lontanissimi dai 780 euro annunciati dal vicepremier Luigi Di Maio. Non solo. Viene definitivamente indebolita la componente di sviluppo della manovra.
La nuova Legge di Bilancio prevede una riprogrammazione di cassa del Fondo di sviluppo e coesione per 800 milioni e taglio del cofinanziamento nazionale per i fondi europei di ulteriori 850 milioni, che si sommano al taglio degli investimenti delle Ferrovie per 600 milioni e al taglio delle risorse per finanziare il credito d’imposta per gli investimenti al Sud. Queste politiche scellerate deprimono le prospettive di crescita del Mezzogiorno, proprio in una fase nella quale il segno meno torna nelle statistiche del Pil e lo sforzo dovrebbe essere massimo. In buona sostanza, il Mezzogiorno è stato posto davanti ad una sorta di scambio mortifero: il reddito di cittadinanza in luogo delle risorse per gli investimenti.
Al di là della propaganda, il Governo gialloverde si è mosso in assoluta continuità con il recente passato. Vale a dire, usare i margini di flessibilità di bilancio per sostenere i redditi invece che finanziare le politiche di sviluppo. In verità, sarebbe bastato vedere i dati degli ultimi anni per capire che proprio nelle regioni meridionali il tessuto economico e produttivo si è rimesso in cammino. Grazie a competenze e spirito imprenditoriale si è riattivato dopo la crisi un tessuto dinamico di imprese, che nonostante un settore pubblico sempre più assente, ha ripreso ad investire e a crescere anche sui mercati internazionali. Già. L’imprenditoria del Sud. L’Esecutivo avrebbe dovuto puntare su questo blocco sociale, grazie agli investimenti e al sostegno alle imprese. Ma Di Maio e compagni, dopo avere criticato giustamente gli 80 euro di renziana memoria, hanno preferito elargire una, seppur bassa elemosina di Stato, che umilia il Meridione d’Italia e condanna le giovani generazioni ad abbandonare la propria terra. Un fatto è evidente. Questo Esecutivo, che ha soffiato sul vento dell’antipolitica, se non darà alcuna possibilità di sviluppo al Mezzogiorno, sarà punito dagli stessi corifei che adesso ne decantano le gesta.
Aggiornato il 15 gennaio 2019 alle ore 10:46