Con questo articolo l’avvocato Daniele Scrofani inizia la collaborazione con il nostro quotidiano. Scrofani, nato a Vittoria (Ragusa), è avvocato penalista dal 1993 e cassazionista dal 2006. È diventato popolare per aver difeso Davide Stival, il padre del piccolo Lorys la cui uccisione è divenuta un caso di forte impatto mediatico.
In una cosa il ministro della Giustizia è senz’altro riuscito: mettere d’accordo tutti gli attori principali del processo penale, solitamente rissosi e divisi. Per una volta tutti uniti, nel dire con forza “No” alla sua riforma della “sospensione” della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. L’unione delle Camere Penali ha appena indetto un secondo periodo di astensione dalle udienze e da tutte le attività penali per protestare contro l’atteggiamento di sufficienza della maggioranza di governo che dimostra di ignorare le critiche dei giuristi italiani.
I docenti universitari in materie penalistiche e costituzionali denunciano, senza timidezze, i limiti profondi e strutturali della riforma evidenziando anche la più che evidente fragilità, sotto il profilo costituzionale, della norma che “sospende” definitivamente il corso della prescrizione. Persino l’Associazione nazionale magistrati, seppur con toni soft e felpati, è decisamente contraria ad una riforma che parta “dalla coda” e non già da una rilettura complessiva e organica dell’intero impianto del processo.
Il rischio paventato, comune a quello denunciato dagli avvocati, è “l’allungamento a dismisura dei tempi, con più processi arretrati nelle corti d’appello”. A dirlo è Francesco Minisci, presidente dell’Anm. Che aggiunge, in modo chiaro e diretto, che “non è giusto lasciare un soggetto sospeso ad libitum in un processo penale. Anche a noi (come ai penalisti, n.d.r.) sta a cuore la ragionevole durata del processo. Perché se una sentenza arriva troppo tardi non è utile per nessuno”. Per ultimo, il procuratore della Repubblica di Milano, dopo il suo collega di Mani Pulite Gherardo Colombo, boccia, senza mezzi termini, l’ipotesi di riforma in lavorazione. Francesco Greco evidenzia, infatti, come il blocco della prescrizione dopo il primo grado “rischia di far saltare le corti d’Appello che sono già in sofferenza”.
La lista di personalità di riconosciuto prestigio che si schierano apertamente contro il blocco della prescrizione è lunga e “pesante”. Eppure niente e nessuno sembra in grado di arrestare o, anche solo, rallentare la corsa del ministro Bonafede e del governo, peraltro presieduto da un avvocato, verso il traguardo dell’approvazione della riforma, da tutti osteggiata. Per tutti i pensatori del diritto penale insomma, il rimedio sarebbe peggiore del male. Ma allora perché il ministro Bonafede e l’intero Governo sembrano intenzionati ad andare avanti, lancia in resta, verso l’approvazione finale del disegno di legge anticorruzione, che contiene l’emendamento blocca prescrizione? Perché non sentono l’esigenza di affidarsi al giudizio unanime dei tecnici che descrivono uno scenario poco rassicurante per le sorti del processo penale?
Prima di rispondere a questa domanda, analizziamo brevemente le conseguenze che l’approvazione della riforma comporterà. La prima è l’introduzione, per dirla con Tullio Padovani, professore tra i più autorevoli in diritto penale, della categoria del processo eterno. Ipotizzare che le corti smaltiranno i processi “definitivamente sospesi” a fronte del continuo sopraggiungerne di nuovi appare una chiara utopia. Sarà piuttosto il contrario. Chi ha una frequentazione quotidiana delle aule di giustizia penale sa che la spada di Damocle del rischio prescrizione è la ragione della calendarizzazione puntuale dei processi in appello o in Cassazione, prima che il tempo definitivamente scorra. E tanto il tempo del passaggio in giudicato sarà più vicino al fatto reato, tanto più giustizia sarà fatta. Per il colpevole che avrà memoria del suo gesto. Per la parte offesa che otterrà il giusto ristoro a seguito della condanna definitiva del colpevole.
Il processo infinito è poi in chiaro e deciso contrasto con l’articolo 111 della Costituzione che impone al legislatore di emanare norme che assicurino la ragionevole durata del processo. E come potrà definirsi ragionevole una durata “sospesa” in eterno, senza determinare una violazione del dettato costituzionale? Anche sotto il profilo del lessico legislativo poi il termine “sospensione” è decisamente errato e rivelatore di una certa approssimazione del legislatore. La sospensione è una parentesi che si apre e che dopo un certo periodo si richiude, come chiaramente prevede l’articolo 159 del codice penale: “la prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione”. Ma come farà, la nostra parentesi a richiudersi se la nuova legge prevede il blocco definitivo del decorso del tempo? Non può certo parlarsi in senso tecnico e corretto di sospensione del corso della prescrizione.
Non ha neppure senso sostenere, come fanno alcuni supporter del governo, che la prescrizione esiste solo in Italia. A parte la assoluta falsità dell’assunto (la prescrizione esiste in Spagna e in Germania con caratteristiche simili a quelle nostre, in Francia dove è prevista la prescription de l’action publique, e cioè l’estinzione dell’azione penale qualora questa non venga esercitata entro un determinato periodo di tempo dalla consumazione del reato, negli Usa con meccanismi che la avvicinano alla scelta francese, tanto per citare solo alcuni esempi), quel che non ha senso è l’accostamento superficiale tra paesi che hanno caratteristiche sociali e processuali profondamente diverse.
Ogni Paese si dota delle regole che ritiene, attingendo alla propria tradizione e alla propria cultura. In un sistema accusatorio puro il problema della prescrizione esiste solo in teoria perché in dibattimento arrivano solo pochissimi casi e la percentuale dei procedimenti definiti nelle udienze preliminari è altissimo. Nei paesi dotati di sistema accusatorio puro le risorse destinate al processo sono ingenti e continue. Da noi non è così. Ecco perché è fuorviante guardare agli altri senza comprendere che non si può continuare a mettere pezze nel nostro sistema processuale senza avere una chiara visione d’insieme; e che è assurdo oggi approvare la riforma della prescrizione e domani mettere mano (forse) a tutto il resto dell’impianto processuale.
Avere addossato poi agli avvocati “azzeccagarbugli” la responsabilità per la grande quantità di processi che vanno in prescrizione ogni anno è stata poi una chiara caduta di stile dell’avvocato Bonafede. Senza contare che le statistiche dicono l’esatto contrario e cioè che il 60 per cento dei processi si prescrive nella fase delle indagini preliminari, prima quindi dell’esercizio dell’azione penale. In una fase in cui gli avvocati non hanno nessuna possibilità di incidere. E qualora poi, finalmente nella fase dibattimentale, i difensori o i loro assistiti dovessero avanzare legittime ragioni per un rinvio dell’udienza, la legge attuale prevede espressamente la sospensione (quella corretta, quella delle parentesi che si aprono e poi si richiudono) del corso della prescrizione. Infine, con la recente “riforma Orlando”, i termini di prescrizione sono stati già allungati di circa 3 anni e tale allungamento riguarda proprio le fasi successive al primo grado di giudizio. Perché allora non attendere che la legge Orlando dispieghi i suoi effetti per verificare se abbia o meno raggiunto lo scopo di ottenere una netta diminuzione delle prescrizioni maturate dopo la sentenza di primo grado?
Per rispondere a questa domanda riprendiamo il filo del discorso e rispondiamo così anche all’altra che abbiamo lasciato sopra in sospeso. La verità è che la scelta di bloccare la prescrizione dopo la sentenza di primo grado non risiede in precise ispirazioni di politica criminale, né dà attuazione ad un preciso piano strategico in tema di legislazione penale; al contrario, e molto più banalmente, asseconda l’umore degli elettori del movimento che provvedimenti “di rottura” di questo genere chiedevano e che oggi vogliono vedere realizzati. In barba al parere degli avvocati, dei professori e dei magistrati.
Fermi il treno in corsa, signor ministro. Ascolti i consigli degli attori del processo penale che lavorano sul campo e conoscono, forse meglio di lei, le condizioni che portano una legge a diventare una buona o una cattiva legge. È ancora in tempo per impedire che nasca una cattiva legge. Non tema, signor ministro, rinunciando al suo disegno di blocco della prescrizione, di apparire debole e incapace di portare avanti i Suoi progetti. Al contrario, ne uscirà rafforzato perché avrà dimostrato di sapere ascoltare e di avere a cuore i principi del confronto, del pluralismo e della democrazia.
Aggiornato il 06 dicembre 2018 alle ore 17:37