Una recente ricerca della Cnn sugli atteggiamenti verso gli ebrei in sette Paesi – Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Ungheria, Polonia e Svezia – è fonte di grande preoccupazione.
Gli ebrei sono una percentuale infinitesimale della popolazione europea, ma continuano ad assumere un ruolo sproporzionato nell’immaginario europeo. La vecchia retorica sugli ebrei persiste, dato che il 20 per cento degli intervistati ritiene che gli ebrei abbiano “troppa influenza” nei media e nella politica, mentre uno su tre non sa nulla dell’Olocausto, lo sterminio sistematico di sei milioni di ebrei europei.
L’antisemitismo non è un sfida nuova per l’Europa. In realtà, fa parte del panorama europeo da quasi duemila anni, durante i quali ha assunto molte forme – religiose, razziali, politiche – e le cui conseguenze sono state ghetti, pogrom, conversioni forzate, inquisizioni, espulsioni e, alla fine, la “soluzione finale” dei nazisti.
All’American Jewish Committee (Ajc), abbiamo iniziato a dare l’allarme nel 2001, quando abbiamo notato in prima persona, e in quel periodo in particolare, una rinascita dell’antisemitismo in alcuni Paesi dell’Europa occidentale. Abbiamo identificato tre fonti principali dell’antisemitismo: i) l’antisemitismo etno-nazionalista di estrema destra, populista, negazionista dell’olocausto; ii) le campagne di estrema sinistra che non criticano solo la politica israeliana, ma tendono a delegittimare Israele e scegliere per boicottaggi e sanzioni mirate proprio l’unico stato al mondo a maggioranza ebraica tra tutti i Paesi del pianeta; e (iii) gli islamisti, che riflettono una fetta della migrazione musulmana verso l’Europa, che ha portato con sé l’odio per gli ebrei, chiamati “infedeli”, “figli di scimmie e maiali” e sostenitori della disprezzata “entità sionista”.
In questi anni, la sfida è stata di come convincere i leader politici europei a riconoscere e affrontare le minacce. Dopotutto, l’antisemitismo, abbiamo sostenuto, non dovrebbe essere considerato un “problema ebraico”, ma piuttosto un pericolo per l’impegno dell’Europa postbellica per la protezione della dignità umana e la salvaguardia dei valori democratici. Si è trattato di trovare una risposta non solo da parte delle comunità ebraiche per difendere se stesse, (anche se molti iniziarono a destinare ingenti fondi a misure basilari di sicurezza) ma soprattutto da parte dei governi, che devono affrontare il problema a 360 gradi, dall’istruzione alla sicurezza, dall’applicazione della legge all’integrazione.
Eppure, nel complesso, l’Europa è stata tremendamente lenta ad accorgersi della crescente minaccia dell’antisemitismo e dal crescente disagio degli ebrei europei, alcuni dei quali hanno iniziato a chiedersi se sia possibile un futuro sicuro o se è necessario prendere in considerazione l’emigrazione in Israele o altrove. Ricordo diversi incontri dell’Ajc con il presidente francese Jacques Chirac nei primi anni duemila. Quando sollevavamo la questione, la sua solita risposta era: “Amici miei, conosco il mio Paese meglio di voi. Non c’è alcun problema di antisemitismo in Francia”. Quanto si sbagliava.
Il problema era, ed è, l’antisemitismo, cioè quando gli ebrei sono presi di mira in quanto tali. Infatti, ben 12 ebrei francesi sono stati uccisi negli ultimi anni per il semplice “crimine” di essere ebrei – e, a proposito, sono stati tutti uccisi da jihadisti. Gli ebrei sono stati uccisi anche in Belgio, Bulgaria e Danimarca, sempre dai jihadisti, e presi di mira in altri Paesi, dalla Germania alla Svezia, dall’Ungheria alla Polonia. Nel frattempo, oggi un partito di estrema destra è partner di minoranza della coalizione di governo in Austria, e il più grande partito di opposizione nel Parlamento tedesco. Allo stesso tempo, un partito di estrema sinistra è partner di minoranza della coalizione di governo in Spagna e il leader del Partito laburista britannico, Jeremy Corbyn, è considerato antisemita da quasi il 40 per cento della popolazione di quel Paese.
Cosa fare?
Innanzitutto, è impossibile combattere l’antisemitismo se alcuni leader rifiutano ancora di ammettere che esista - se, come il primo ministro svedese Stefan Löfven, non sono disposti a occuparsi della sua specificità, invece di offuscarla, come abbiamo dovuto ascoltare, dietro ogni “ismo” e “fobia” noti all’umanità. Chi meglio dell’Europa dovrebbe capire dove può portare l’antisemitismo?
Secondo, l’antisemitismo non deve essere politicizzato, come accade quando la destra si concentra solo sull’antisemitismo di sinistra e sugli islamisti, e la sinistra solo su quello di destra. Tutte e tre le fonti devono essere affrontate.
Terzo, a che serve che i leader europei si mostrino in lutto per gli ebrei uccisi nell’Olocausto, se è un evento sconosciuto a un numero crescente di europei, che non riesce a capire il collegamento tra le lezioni dell’Olocausto e gli ebrei in vita oggi?
Quarto, solo sei dei 28 Paesi dell’Unione europea hanno adottato una definizione comune di antisemitismo. Perché ci vuole così tanto tempo perché gli altri lo facciano?
In quinto luogo, l’integrazione dei nuovi arrivati in Europa dovrebbe includere linee guida che affermino chiaramente che nel continente che ha dato vita all’Olocausto non si assisterà mai più al ritorno dell’odio contro gli ebrei.
E sesto, diversi leader europei si sono lamentati del fatto che l’aumento esponenziale degli accessi in rete hanno dato nuova vita alla diffusione dell’antisemitismo. Hanno ragione. Capire come affrontare il problema non è facile, ma merita comunque urgente attenzione su entrambe le sponde dell’Atlantico. Il sondaggio della Cnn è un campanello d’allarme. Lo ascolteremo?
(*) Ceo dell’American Jewish Committee (Ajc)
Aggiornato il 05 dicembre 2018 alle ore 15:50