La cena delle beffe

“Con la Commissione abbiamo parlato di quello che stiamo facendo, da cinque mesi stiamo rivoluzionando il Paese e continueremo a farlo”.

Così si è espresso il premier Giuseppe Conte dopo aver partecipato, insieme a Giovanni Tria, ad una moderna riedizione della “Cena delle beffe” con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker.

Si è ovviamente trattato di un incontro di cortesia il quale, come ovviamente previsto dagli osservatori più attenti, non ha spostato di una virgola la posizioni di questa inverosimile trattativa, sebbene i nostri geni della lampada al Governo, mostrando oggi una certa elasticità sui decimali, continuino pervicacemente ad ingannare il popolo sui veri motivi del contendere. Motivi che hanno ben poco a che fare coi ritocchetti temporali – ad esempio spostando in avanti l’entrata in vigore delle misure più significative della manovra di Bilancio – sbandierati in questi ultimi giorni.

Il problema di fondo, che oltre all’Unione europea non è certamente sfuggito al vasto mondo della finanza mondiale, risiede essenzialmente in un profondo errore strutturale contenuto nella manovra medesima, e sul quale né i vertici di Bruxelles e né soprattutto chi è chiamato a comprarci il nostro colossale debito pubblico può transigere.

In estrema sintesi, ammesso e non concesso che si riesca a limitare per qualche mese il deficit di bilancio, magari ricorrendo ai soliti trucchetti della cosiddetta finanza creativa, la bomba ad orologeria di una Legge di Bilancio eminentemente assistenzialistica, pensata solo per un fine elettorale, appare destinata nel giro di poco tempo a far saltare i nostri già traballanti conti pubblici. Per dirla in estrema sintesi, così come dimostra la crescente disaffezione verso i titoli del Tesoro, il mondo circostante ha già ampiamente sfiduciato una linea economica che aumenta la già eccessiva spesa corrente, dilatando ulteriormente la componente sociale che vive di sussidi, e lo si fa all’interno di un sistema Paese il quale, proprio in virtù di codesta sua sciagurata propensione al parassitismo politico-burocratico, da decenni disincentiva ogni forma di sviluppo economico.

D’altro canto, se nel Paese più invecchiato d’Europa e afflitto da un tasso di occupazione imbarazzante, soprattutto al Sud, per il premier Conte la rivoluzione consiste nel mandare ancor prima la gente in pensione e nel regalare redditi di cittadinanza, allora dobbiamo veramente prendere atto che l’Esecutivo dei miracoli ci sta portando a nostra insaputa in una sorta di universo parallelo. Un luogo inesplorato in cui la crescita economica è sinonimo di voto di scambio e nel quale la sostenibilità del debito pubblico è garantita dalle chiacchiere in libertà di chi governa.

Aggiornato il 27 novembre 2018 alle ore 11:31