Bocciatura Ue e orgoglio italiano

La Commissione europea ha bocciato la manovra finanziaria presentata dall’Italia per il 2019. Per Bruxelles vi sarebbe una violazione particolarmente grave delle regole di bilancio raccomandate dall’Ecofin dello scorso 13 luglio.

In particolare, è stata giudicata negativamente la pianificazione di una spesa aggiuntiva significativa che determinerebbe lo sforamento del criterio del debito. Riguardo alla previsione di crescita i Commissari ritengono che non vi sia chiarezza sulle misure che dovrebbero concorrere a produrla. L’unica cosa di cui si dicono certi i guardiani europei dei nostri conti è che maggior deficit e, a cascata, maggior debito aumenteranno i “rischi per i cittadini, le banche e le imprese italiane”. Per tali ragioni la Commissione ha deciso di redigere una relazione sull’eccesso di disavanzo dei conti pubblici italiani, ai sensi dell’articolo 126 punto 3 del Trattato di Funzionamento della Ue. Il che non significa l’apertura formale della procedura d’infrazione per deficit eccessivo contro l’Italia. Su tale decisione toccherà agli Stati membri, nelle prossime settimane, esprimersi.

Ora che il protocollo è stato rispettato, pensiamo alla sostanza. Bruxelles ha scelto di continuare il braccio di ferro con il Governo italiano, preoccupandosi evidentemente di non soccombere nello scontro di visioni neanche più celato, tanto è palese, dietro la battaglia dei decimali. Il fatto che, alle spalle della Commissione, si siano schierati compatti i rappresentanti di tutti i Paesi membri dell’Unione non vuol dire che il nostro Governo abbia necessariamente torto. Tuttavia, l’aspetto sgradevole della vicenda è che la pretesa del rigore nel rispettare le regoli comuni, invocata dai commissari europei, sia una patente ipocrisia: vale per l’Italia, ma non per gli altri. Atteso che il problema sia interamente politico e si traduca in rapporti di forza, il Governo giallo-blu ha davanti a sé due strade alternative: dichiararsi battuto e piegarsi agli ordini della Commissione o tenere il punto e prepararsi allo scontro frontale. Non si tratta di una scelta facile perché qualsiasi delle strade s’imbocchi vi saranno prezzi da pagare. Potranno differire in funzione dei tempi in cui essi si abbatteranno sul nostro sistema socio-economico, ma non vi è dubbio che ci saranno. Quindi, si tratta di scegliere, che è propriamente il mestiere della politica.

Se si cede adesso, nel breve termine, le cose torneranno a posto, lo spread scenderà e i mercati si tranquillizzeranno ma l’Italia tornerà in quello stato di lento ma inesorabile declino al quale le politiche comunitarie fondate sul controllo rigido della leva monetaria l’hanno condannata. Se viceversa i leader della odierna maggioranza vorranno dimostrare di non essere bulli di cartapesta, dovranno assumersi la responsabilità di combattere nella consapevolezza che il Paese, almeno nella fase iniziale, sarà destinato a grandi sofferenze. Non è però concepibile che il nemico europeo pensi di avere vita facile giocando con l’Italia come il gatto con il topo. Se ci sarà da pagare sappiano a Bruxelles che il conto in qualche misura spetterà anche a loro. L’Italia non è soltanto la seconda manifattura d’Europa, è principalmente un Paese che mantiene un suo specifico peso geopolitico. E in una guerra questo conta molto. Pensano forse i nostri partner europei che nel mentre, da un lato, ci fanno la guerra a suon di sanzioni e ricatti, dall’altro possano chiedere al Governo di Roma di aderire acriticamente a tutte le scelte che su diversi fronti questa Unione europea, fortemente condizionata dal potere dell’asse carolingio, vorrebbe assumere? Pensiamo al progetto di Difesa comune europea, alle sanzioni contro la Federazione russa, al prossimo bilancio pluriennale dell’Unione. Per non parlare delle azioni di contrasto alle politiche commerciali dell’amministrazione statunitense che, Germania in testa, si vorrebbe mettere in campo sotto l’etichetta “Europa”.

Molto si dice sul fatto che l’Italia senza Bruxelles non ce la farebbe, ma bisognerebbe chiedersi: L’Unione senza l’Italia può restare in piedi? È presumibile che solo adesso parta il negoziato vero con la Commissione. Si vedrà fino a che punto le parti siano interessate a trovare un accordo o piuttosto non cerchino, sebbene per opposti interessi, di fare precipitare le cose. Comunque sia ora c’è da stringere i denti e mettersi all’opera per dare concretezza alle promesse fatte. Non si tratta di compiacere alcuno ma di convincere gli investitori finanziari che l’Italia non è quel vuoto a perdere descritto, nelle dichiarazioni alla stampa, dal vicepresidente, lettone, della Commissione europea, Valdis Dombrovskis. Matteo Salvini ci dia un taglio con le battute da spirito di patate e si preoccupi piuttosto di dare uno scrollone al suo omologo di governo, Luigi Di Maio, perché la macchina degli investimenti si metta in moto immediatamente.

E le opposizioni? Posto che sperare in un comportamento patriottico del Partito Democratico sarebbe come cavare il sangue da una rapa, almeno il centrodestra dimostri giudizio e senso di responsabilità. A Forza Italia il 2011 non ha insegnato niente? Davvero qualcuno dalle parti di Palazzo Grazioli pensa che sparando adesso a palle incatenate contro il Governo giallo-blu, domani mattina il presidente Sergio Mattarella sia disposto a chiamare tutti al Quirinale e a dire: abbiamo scherzato, tolgo l’incarico a Giuseppe Conte e lo do a voi? Lo capiscono o no gli indecifrabili dirigenti forzisti che se i grillini hanno la fortuna di essere defenestrati in questo frangente andranno dal popolo a dire: ci hanno fatto fuori perché volevamo il bene dei cittadini e non quello dei poteri forti? E cosa pensano i forzisti che accadrà, soprattutto al Sud? A costoro offriamo un fraterno consiglio: attenti a ciò che fate perché qui finisce male. Si può convenire nel ritenere che i Cinque Stelle siano il peggio del peggio, ma adesso viene il bene del Paese e poi l’interesse di bottega. Prima si supera insieme la tempesta e dopo si regolano i conti. È così che ragionano gli statisti.

Aggiornato il 23 novembre 2018 alle ore 11:37