All’Eurogruppo prove di sovranismo franco-tedesco

Quest’oggi, a Bruxelles, i ministri dell’economia e delle finanze dei Paesi della moneta unica riuniti per la sessione dell’Eurogruppo, si troveranno sul tavolo il documento congiunto, frutto dell’accordo tra il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, riguardo all’istituzione di un bilancio unico per i Paesi dell’eurozona. Il documento, stando alle anticipazioni pubblicate dal Financial Times, prevede la creazione di un fondo per i Paesi dell’euro finanziato con i contributi dei medesimi Stati e con l’applicazione di una tassa ad hoc sulle transazioni finanziarie. Lo scopo sarebbe di “stimolare la crescita attraverso investimenti, ricerca e sviluppo, innovazione e capitale umano cofinanziando la spesa pubblica”, ma anche di funzionare da stabilizzatore nel caso di improvvisi shock recessivi sull’economie dei Paesi membri colpiti. L’accesso al fondo, però, non sarebbe per tutti: ne resterebbero fuori gli Stati non disponibili a rispettare le regole del patto di stabilità. Che è poi come dire: questa Italia dovrà pagare la quota di partecipazione al fondo ma non riceverà alcun beneficio fin quando non si piegherà alle logiche di stabilizzazione monetaria.

La questione sollecita alcune considerazioni. La prima: il metodo. Sebbene costituisca una novità la ritrovata armonia tra Parigi e Berlino, lascia perplessi la decisione dei due capi di governo di preparare in anticipo la pietanza che verrà servita oggi agli altri commensali. Se questo è lo spirito della Nuova Europa non stupisca il fatto che le rilevazioni statistiche diano in picchiata il favore popolare al progetto di maggiore integrazione europea. Non era questa l’Unione alla quale aspirare, cioè una gabbia in cui vige la legge del più forte. L’ideale, che adesso appare una via di mezzo tra il romantico e l’utopico, era di una consesso di pari impegnati a costruire un comune destino e non una caserma dove gli ordini si apprendono leggendo i mattinali appuntati in bacheca. Tale procedura decisionale è a dir poco insultante per la dignità di un Paese, come l’Italia, che ha dalla sua dignità di nazione, peso economico-strategico e storia. Il metodo appare ancor più sgradevole se si considera che i due leader firmatari del documento nei loro rispettivi Paesi se la passano piuttosto male. Macron, in Francia, è ai livelli più bassi di popolarità mai toccati dai suoi predecessori e la signora Merkel è avviata sul viale del tramonto politico. È, dunque, comprensibile che nell’opinione pubblica italiana cresca lo sdegno in presenza di un’iniziativa straniera percepita e vissuta come ostile.

La seconda: il contenuto. Il documento, stando alle anticipazioni, proporrebbe l’ennesima mutilazione di sovranità agli Stati membri a fronte della promessa di incentivi allo sviluppo, alla ricerca e all’innovazione. Ma quale sviluppo, quale ricerca, quale innovazione? Chi decide la direzione verso cui andare? Chi determina le strategie della governance? Già in passato il nostro Paese, che in taluni settori pratica processi produttivi assolutamente peculiari, ha dovuto combattere contro le folli regolette imposte dall’eurocrazia. Si pensi a quanto sia ancora oggi difficile difendere il “made in Italy”. Se, per ipotesi, la nuova sovrastruttura europea dovesse implementare policies in contrasto con l’interesse nazionale italiano, renderebbe ancora compatibile la nostra partecipazione all’acquis comunitario? Si obietterà: il documento prefigura l’opportunità di un nuovo ombrello protettivo in caso di crisi. Sarebbe bello se non fosse che l’autoproclamatosi decisore politico si riserva il potere di stabilire per chi e a quali condizioni si apra l’ombrello. Ora, non è il caso di allarmarsi perché l’iter decisionale per la costituzione del bilancio unico è piuttosto lungo, visto che la stessa cancelliera Angela Merkel ne ritiene indispensabile l’inserimento nel bilancio generale dell’Ue, previa approvazione di tutti i 27 Paesi membri.

È tuttavia auspicabile che oggi arrivi, da parte del rappresentante italiano, un tondo no alla proposta e, contestualmente, il rilancio come piattaforma di discussione del documento a suo tempo redatto dal ministro dell’Affari europei, Paolo Savona, intitolato “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”. Lo spunto di riflessione di Savona rileva come il limitarsi al rispetto acritico dei parametri fiscali imposti da Bruxelles non risponda alle reali sfide del presente in ordine alla caduta della crescita, alla lotta alla povertà e all’abbattimento della disoccupazione. Che sono i temi sui quali leghisti e Cinque Stelle, pur da opposti fronti, hanno vinto le elezioni. Tuttavia, sovranisti e populisti nostrani non si cullino sugli allori delle loro buone ragioni. Non basta denunciare l’ingiustizia insita nella manifesta disparità di trattamento che penalizza l’Italia. È necessario negoziare il cambiamento delle regole da posizioni di forza, il che presuppone la costruzione di una rete di alleanze con gli altri Paesi europei. Non vi è dubbio alcuno che l’Italia stia attraversando nei rapporti con l’Unione europea una fase particolarmente delicata, che prelude a una svolta epocale. Ora, se la strategia del Governo giallo-blu è quella di attendere le elezioni europee di primavera nella speranza che saltino gli attuali equilibri di potere, considerando l’ampiezza del lasso temporale che ci separa dal voto, essa è fallita in partenza. Non è disponendosi all’attesa messianica di eventi provvidenziali incerti e futuri che si cambia il mondo. Se, invece, la strada resta quella della ricerca del dialogo è auspicabile che, per merito del Governo italiano, il treno europeo resti sui binari della fedeltà allo spirito delle origini e si salvi dal deragliamento autoritario in stile “Quarto Reich”, che è poi il paradigma antidemocratico del sovranismo occulto, perseguito su scala europea dalle nazioni dell’asse carolingio.

Aggiornato il 20 novembre 2018 alle ore 11:09