Tra manine che scorrazzano per i corridoi di Palazzo Chigi e ultimatum della Commissione Ue che intimano al Governo italiano di rivedere al ribasso la manovra finanziaria, il fine settimana si annuncia agitato. Ci sarà da ballare perché i mercati finanziari, finora piuttosto cauti, non resteranno a guardare. Dovremmo preoccuparci dell’impennata dello spread? Certo che sì, ma senza farne un dramma.
Era scontato il fatto che, avendo scelto il Governo giallo-blu la linea dello scontro con Bruxelles, vi sarebbero state ripercussioni negative sui mercati finanziari. Come reagire? Non perdendo la testa perché l’approccio adottato dal Governo di Roma nell’impostazione della manovra di Bilancio sia andato di traverso ai guardiani della stabilità monetaria dell’eurozona. Mai come in questo momento gli azionisti dell’odierna maggioranza parlamentare devono mantenere sangue freddo focalizzando l’attenzione sulle dinamiche finanziarie che potrebbero mettere in crisi il progetto di governo. Saremo espliciti. Si fa un gran parlare delle variazioni, minuto per minuto dello spread, facendo di quest’altalena un gran teatro. Che lo facciano le forze d’opposizione è comprensibile: drammatizzare la situazione forzando la realtà è un modo di far politica per cui dolersene è stupido. Così fan tutti, quando al potere ci sono gli avversari. Lo hanno fatto i grillini, per l’intera scorsa legislatura, quando a palazzo Chigi c’era la sinistra, ora al Partito Democratico spettano gli alti lai per le scelte prese dai penta-leghisti. Il punto non è andare dietro all’opposizione che, ribadiamo, fa il suo mestiere benché discutibile.
Ciò che deve interessare i manovratori che sono sul ponte di comando di nave Italia deve essere altro. Dovrebbero chiedersi, piuttosto, quali siano le meccaniche che muovono lo spread. La questione riguarda gli scambi sul cosiddetto mercato secondario di Bot, Btp e altri titoli di Stato in circolazione. La Borsa Italiana SpA, mediante lo strumento del Mot (Mercato telematico delle Obbligazioni e dei Titoli di Stato) ne gestisce la contrattazione giornaliera. Ora, se il titolo di Stato è ipervenduto, è normale che si deprezzi e per essere collocato deve offrire maggiori rendimenti. Da qui l’aumento del differenziale tra il Btp italiano e il Bund tedesco, noto all’immaginario collettivo col termine spread. Ma se il titolo mostra un eccesso d’offerta rispetto alla domanda, bisogna chiedersi non solo il perché ma il chi, possessore di titoli di Stato italiani, decida di disfarsene mettendoli sul mercato. Generalmente, gli operatori finanziari si affidano a indicatori affidabili nell’analisi tecnica. Tra questi ci sono le cosiddette “bande di Bollinger”. Si tratta di un diagramma che riporta la banda di oscillazione media dei prezzi di un determinato prodotto finanziario. Il canale di flusso è delimitato, in basso e in alto, da due bande che tracciano la deviazione standard dalla media mobile del mercato. Più questo diventa volatile, più le bande tendono ad allargarsi. Gli operatori, in tal modo possono regolarsi, osservando l’andamento del titolo posto sotto osservazione. Ma chi è che mette in moto il meccanismo? A proposito di manine, qual è quella che dà fuoco alle polveri? Questo aspetto non investe la mera curiosità accademica, ma deve riguardare la politica. Se è vero che in Occidente non si combattono più guerre con le armi da fuoco, i conflitti continuano a consumarsi sui mercati finanziari. Un Governo che si sente attaccato deve sapere per tempo chi è che lo attacca.
Nel 2011, nella maledetta “estate dello spread” che portò alla caduta del Governo Berlusconi e alla sua sostituzione con quello del “commissario” Monti, tutti ricordano i massimi che furono progressivamente raggiunti dal differenziale di rendimento, ma pochi ricordano il perché. La Deutsche Bank, che aveva a fine 2010 in portafoglio Titoli di Stato italiani per un controvalore di 8 miliardi di euro, ne decise, nel giugno 2011, un’improvvisa massiccia vendita per 7 miliardi di euro senza che fosse comunicata per tempo la decisione al mercato finanziario regolamentato e senza darne opportuna giustificazione. Al contrario, nei trimestri precedenti i vertici dell’istituto bancario tedesco si erano espressi per l’assoluta sostenibilità del debito pubblico italiano. Quell’inopinata manovra, che ha financo catturato l’attenzione degli inquirenti italiani, provocò nel giro di poche settimane l’effetto valanga sui titoli del nostro Debito. All’inizio dell’estate 2011 lo spread quotava 200 punti base, quattro mesi dopo raggiungeva il tetto di 574 punti base. Solo un cieco non vedrebbe il nesso causa-effetto tra il comportamento scorretto tedesco e la crisi finanziaria italiana.
Veniamo all’oggi. Questa mattina il differenziale si muove sui 330 punti base. Domanda: chi si sta liberando con tanta fretta dei nostri titoli di Stato? Non sarà certo tutta colpa della casalinga di Voghera che di Btp ne avrà qualcuno ma non tanti da influenzare l’andamento dei mercati. Coloro che, come si suole dire con pessima locuzione, ne hanno tanti in pancia sono le banche. Italiane ed estere. Allora, cari Salvini e Di Maio, oltre che a far gara a chi ce l’ha più duro, non siete curiosi di conoscere nomi e cognomi di chi in queste ore ha deciso di far pulizia nel portafoglio, ben consapevole di creare più di un problema al Paese? Non vi farebbe specie scoprire che sono proprio le tanto coccolate banche nostrane a scaricare la zavorra in alto mare? Se fossimo al posto vostro ci applicheremmo con molta cura a svelare l’identità di chi fa il furbo. Così, tanto per tenerlo a mente quando ci sarà da tirare la riga e separare gli amici dai nemici. Mai dimenticando che in guerra la rappresaglia è ammessa.
Aggiornato il 19 ottobre 2018 alle ore 12:36