“Colpevoli per forza”. Anche se un documento ufficiale del Comune di Padova ne conferma indirettamente l’alibi. Ragion di stato da una parte e contentino ideologico all’ex Pci di Bologna dall’altra. Così per la strage del 2 agosto 1980 da 38 anni a questa parte si consuma un’ipocrita ingiustizia. E anche se – persino nel processo a Gilberto Cavallini per la medesima strage in corso a Bologna – vengono a galla tutte le prove che gli alibi dei due ex terroristi, anzi tre se ci mettiamo anche Luigi Ciavardini all’epoca minorenne, erano veri e verificabili, a nessuno sembra importare un po’ meno di niente del fatto che per un delitto così orrendo siano stati condannate in maniera definitiva tre persone innocenti. A cui presto potrebbe aggiungersene un’altra, per l’appunto Gilberto Cavallini, processato fuori tempo massimo e sempre a furor di popolo antifascista. Un furore non così innocente se da una parte – peraltro – è servito, con quasi mezzo secolo di depistaggi, a coprire il famigerato “lodo Moro” e gli sporchi aiuti dei servizi italiani ai terroristi palestinesi e a quelli libici. Ma tant’è.
Chi mai potrebbe protestare se persone già condannate all’ergastolo per altri delitti, questi veramente commessi, se ne beccano un altro in sovrappiù? È capitato con imputati di mafia, è capitato con imputati del terrorismo rosso delle Brigate rosse. Solo il processo per la strage di via D’Amelio (in cui persero la vita il pm Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta), agli imputati falsamente accusati da Vincenzo Scarantino, ha sinora fatto eccezione.
Bologna però è una cosa diversa. Una strage sporca più di tutte le altre. E ci sono apparati, terroristici e di Stato, che sono ben contenti di nascondersi dietro le gonnelle della matrice fascista. Così, benché si venga a sapere – da un documento ufficiale del Comune di Padova acquisito nei giorni scorsi dalla Corte di assise di Bologna che sta processando Cavallini – che il 2 agosto 1980 c’era stata effettivamente una fiera dei fiori in quel di Padova in piazza Prato della Valle, così come riferito da Francesca Mambro nell’interrogatorio subito al momento della cattura, il 5 marzo 1982 a Roma, nessuno sinora ha voluto considerare la veridicità di questo alibi. Di quella fiera, se non si era abitanti di Padova, nessuno al mondo poteva sapere meno che nulla. E quindi una circostanza tanto precisa sarebbe dovuta essere vagliata attentamente all’epoca, cioè nel marzo del 1982, quando Mambro e Fioravanti erano già stati incriminati per la strage che gli stessi negano avere compiuto – invano – da 38 anni.
Ma evidentemente la pista nera, data da bere anche all’ex capo di Stato, e prima ancora di governo, Francesco Cossiga, doveva essere tutelata a tutti i costi, anche quello di organizzare depistaggi come il ritrovamento di armi ed esplosivo sul treno Taranto-Milano nel 1981. Tutto per proteggere il patto di non belligeranza tra i servizi italiani e il terrorismo arabo mediorientale. Ora però questo documento del Comune di Padova che avvalora l’alibi di Mambro e Fioravanti viene fuori a pochi giorni dalla sentenza del processo contro Gilberto Cavallini per il medesimo reato e serve a confermare anche il suo alibi. Coincidente con quello di Mambro e Fioravanti e con quello di Luigi Ciavardini. Avranno i giudici della Corte d’assise di Bologna il coraggio di utilizzarlo per assolvere Cavallini? Sapendo che poi questo documento potrebbe essere usato, una volta ritenuto valido, anche per tentare un processo di revisione da parte dei tre condannati definitivi per Bologna su nominati? Oppure dobbiamo rassegnarci a vedere la solita giustizia burocratica che si accontenta di giudicare il già giudicato? Fra pochi giorni lo sapremo. Amen.
Aggiornato il 20 settembre 2018 alle ore 00:58