Giorni fa il comico Beppe Grillo, “Maître à penser” e comproprietario del Partito (si fa per dire) dei 5 Stelle, ha fatto una dichiarazione che i giornali si sono intesi in dovere di raccogliere quasi fosse una cosa seria. E una cosa “seria”, anche in senso diverso essa rappresenta, o almeno riguarda, un fatto assai serio, in tutte e due le accezioni del termine: “La Democrazia è finita. I rappresentanti del popolo, i parlamentari estraiamoli a sorte”.
Fine di un’Era? No, fine di un espediente diretto a tradurre la storia, il significato e le speranze in pagliacciata. Grillo ha dovuto prendere atto che la sua grande “trovata” della “democrazia telematica”, presentata al suo nascere come l’antidoto della vecchia e marcia democrazia dei partiti, è fallita completamente. Il tessuto “telematico” del grillismo, anche a prescindere dagli “adattamenti” e falsificazioni che a torto o a ragione gli si attribuiscono, finisce per affidare la rappresentanza della Nazione, anziché a un corpo di personaggi selezionati attraverso il crivello della “notorietà telematica” in quanto, in mezzo al popolo di internet e anche in mezzo al popolo senza altra qualificazione, come più dotati, preparati, intelligenti e impegnati, a una strana congrega di caricature, un assieme di personaggi di livello intellettuale inferiore alla media dei cittadini. Insomma, la “democrazia telematica” opera una sorta di selezione a rovescio di quelli che destina a rappresentare se stessa e la comunità nazionale. Di qui la conclusione: meglio estrarli a sorte.
L’estrazione a sorte dei parlamentari, se non come proposta, almeno come grido di dolore, non è nuova. Ernesto Rossi, personaggio che può, per quello che furono le sue doti morali, la sua visione del mondo, il suo coraggio nell’opposizione al fascismo, considerarsi l’antitesi più pura del populismo e dell’antipolitica, rilevando il basso livello cui era caduta la rappresentanza parlamentare, scrisse su “Il Mondo” che tanto valeva andare alla stazione ferroviaria e fare una retata di qualche centinaio di persone che occasionalmente vi si trovassero, per avere un “campione” di livello pari o superiore a quello degli eletti di allora. Era quello un grido di allarme, volutamente espressa come un’ipotesi grottesca. Ma oggi Grillo si accorge di aver fatto di peggio di una retata alla stazione. E, invece di fare atto di costrizione e di cominciare a rivedere le sue tesi (si fa per dire) antipolitiche e antipartitiche, corre alla conclusione della fine della Democrazia, come se la sua impresa pubblicitario-politica fosse davvero l’ultima spiaggia di quel grande miraggio dell’umanità che è la Democrazia.
La realtà è che la pretesa di una Democrazia senza partiti definiti come tali e organizzati, espressione della tendenza della popolazione rispetto ai grandi problemi del Paese, è di per sé una deformazione suicida e catastrofica. Né la perdita del senso e della funzione dei partiti politici è cosa così recente, dovuta all’emergere dell’“antipolitica” grillina. Dopo il golpe mediatico-giudiziario di “Mani Pulite”, i partiti o quello che ne rimase, fecero a gara per camuffarsi. A cominciare dal rigetto della denominazione “partito” e, poi, la cancellazione, nelle loro denominazioni, di ogni riferimento storico e ideologico. Solo il partito che più di ogni altro aveva interesse a camuffarsi, il Partito Comunista, finendo per definirsi Partito Democratico, conservò sia il riferimento alla natura e funzione (con il termine “partito”), sia quello a un’ideologia. Denominazione peraltro, al contempo, generica e usurpata.
Le sigle attuali dei partiti fanno pensare più alla marca di un prodotto, magari alimentare, che a una formazione politica. Ma senza la “mediazione” elaborativa degli intendimenti popolari che i partiti possono e debbono assicurare, non c’è democrazia, telematica o meno, che potrà concepirsi. Saggiamente la Costituzione disegna questa funzione dei partiti politici, anche se, giustamente, non ne sancisce l’obbligatorietà. Ricostruire la Democrazia significa, dunque, ricostruire i partiti, senza infingimenti e senza contraffazioni. Partiti democratici al loro interno, per una funzione pubblica democratica istituzionale. Ciascuno faccia il suo “esame di coscienza”, dia uno sguardo alla storia e alle prospettive del futuro. Si confronti con i grandi filoni del pensiero politico di ieri e con la realtà di oggi.
La Democrazia può vivere e deve vivere mostrando di saper creare una “aristocrazia”, nel senso originario del termine, di eletti in quanto selezionati come il meglio che la comunità può offrire. Grillo celebri pure il funerale delle sue ridicole pretese di monopolizzare una democrazia dei Bar dello Sport. Democrazia, scienza e coscienza dell’importanza capitale del pensiero. Fiducia nelle qualità nuove di possedere tutto ciò. Questa è la strada dell’avvenire.
Aggiornato il 03 agosto 2018 alle ore 11:55