La sicumera ha ucciso la sinistra

Maurizio Martina guiderà il Partito Democratico da segretario e non più da reggente verosimilmente fino a febbraio o inizio marzo dell’anno prossimo quando ci saranno le primarie, prima delle elezioni europee. Come previsto dal documento votato in Assemblea, la stagione dei congressi locali e regionali inizierà entro dicembre per poi arrivare alle primarie nazionali. Per ora in campo c’è la candidatura di Nicola Zingaretti, appoggiato da Andrea Orlando e da Paolo Gentiloni cui dovrebbe contrapporsi un candidato di area renziana non ancora noto. Fin qui la fredda cronaca accompagnata dalle decisioni ufficiali assunte nell’assise democratica cui non possono non aggiungersi alcune riflessioni sullo stato di salute della sinistra italiana.

A ben vedere infatti nel Pd non sono d’accordo su nulla, nemmeno sulla road map che dovrebbe portare alla celebrazione delle primarie. C’è chi vorrebbe celebrare la stagione congressuale a tappe forzate mentre c’è chi vorrebbe tirare a campare fino a dopo le Europee, c’è chi vorrebbe spostare l’asse del partito più a sinistra mentre c’è ancora chi è ancorato alla vocazione maggioritaria e c’è chi – come Matteo Orfini – vorrebbe superare l’automatismo con cui il segretario eletto è automaticamente candidato premier (perché la legge elettorale non prevede un candidato alla Presidenza del Consiglio).

Questa non è la normale dialettica interna di un partito, ma una profonda divaricazione strategica a tal punto lacerante da far apparire il Pd una “ditta” nettamente divisa in due rami d’azienda totalmente distinti e distanti e in attesa di uno spin-off. La dimostrazione plastica che si sia al cospetto di separati in casa – ove mai ce ne fosse bisogno – è rappresentata dai numerosi episodi di tensione (sfociata a volte in spintoni e risse) nelle assise locali. Resta sullo sfondo il convitato di pietra rappresentato dalla totale assenza di una riflessione collettiva volta a comprendere le cause della disfatta alle elezioni politiche. Sintomo chiaro del fatto che non c’è la volontà di affrontare e risolvere i problemi, ma che lo sbocco della crisi a sinistra potrebbe ancora essere quello di una scissione con annessa creazione del PdR alias “Partito di Renzi”.

Certo è che, accanto al gioco allo sfascio, c’è anche una grande dose di presunzione che porta i democratici a deformare la realtà: secondo la visione prog, la loro azione di governo ha salvato l’Italia, chi ha soffiato loro lo scettro è un pericoloso populista da tirare giù a colpi di piazza e di strattoni mediatici, dopo di loro c’è razzismo e fascismo, il popolo non ha capito nulla e presto si pentirà di aver avuto altro Dio all’infuori del Pd. Come se pistolotti su diritti civili e Ius soli, mancette da ottanta euro, leggi sulla ciclabilità, più moschee, più accoglienza e simili fricchettonate per fighetti radical chic che vincono la noia giocando agli agitprop bastassero da sole a guadagnarsi la fiducia del corpo elettorale e la medaglia di salvatore della Patria.

Siamo a una svolta epocale: cambia la morfologia sociale, nuovi blocchi ideologico-religiosi si contrappongono nel mondo, nuove disuguaglianze si impongono, nuove dinamiche lavorative emergono ma la totale indifferenza di una sinistra che la società non si degna nemmeno di guardarla presumendo di conoscerla meglio di tutti resta ostinatamente uguale a se stessa. Nonostante loro non riescano proprio ad appendere la spocchia al chiodo, è chiaro che il loro modello novecentesco risulti starato rispetto alla nuova realtà che rifiutano di comprendere con la dovuta umiltà.

Siamo alle comiche finali: come in una convulsa coazione a ripetere si scinderanno, si ricomporranno, si organizzeranno in forma civica, indosseranno la maglietta rossa, torneranno popolo viola, rispolvereranno la bandiera rossa, si definiranno di centrosinistra per poi tornare socialisti ma la verità è che la sinistra è morta e si è suicidata con una overdose di supponenza.

Aggiornato il 13 luglio 2018 alle ore 10:41