Sarebbe fin troppo facile soffiare sul fuoco delle polemiche insinuando che la giunta a Cinque Stelle sia corrotta come tutte le altre e paventando un generico scandalo a sfondo tangentaro. Ma figurati se adesso ci mettiamo a cianciare di un fantomatico affaire “stadio capitale” quando proprio noi abbiamo sempre sostenuto che nemmeno la più famosa “Mafia Capitale” esistesse realmente. In quest’ultimo caso, al netto di qualche reato realmente consumatosi (cosa di tutti i giorni in una città fasciolara e approssimativa come Roma), trattasi di una serie di intercettazioni telefoniche applicate a dei mitomani che pensavano di essere il “Dandy” di “Romanzo Criminale”. Una banda di cazzari, insomma.
Noi crediamo per davvero a Virginia Raggi quando, sia sul caso Raffaele Marra sia su quello dello stadio, si dichiara estranea ai fatti. Dall’analisi delle carte processuali poi, a carico degli esponenti Pentastar non emerge nulla di eclatante. Ma allora tutto bene? Neanche per sogno. C’è un filo conduttore che lega i grillini a Luca Lanzalone e Raffaele Marra.
Questo filo si chiama incompetenza pentastellata cui puntualmente il MoVimento cerca di sopperire legandosi a un “Papa Straniero”, un tuttofare cercato furiosamente all’esterno o all’interno dell’amministrazione che ci capisca qualcosa e che riesca a colmare le lacune culturali, ammnistrative, istituzionali e politiche che attanagliano i parvenu grillini fino a gettarli nella disperazione e nello sconforto.
Che Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede abbiano presentato Luca Lanzalone al sindaco di Roma o che la scelta di Lanzalone sia tutta farina del sacco di Virginia Raggi, poco sposta: il dramma è che i pentastellati non hanno le basi del mestiere e sono costretti tutte le volte ad appaltare le scelte all’esterno incappando spesso e volentieri in lestofanti che fingono di aiutarli facendoli giocare alla politica nel mentre cercano di mungere le casse pubbliche come meglio possono. E loro sono così acerbi da non accorgersi nemmeno che le persone che dovrebbero risolvere i loro problemi in realtà stanno svaligiando casa loro portandosi via anche le mutande. Delle vere volpi, dei fulmini di guerra.
Poi arriva la Procura e frignano come i mocciosi cominciando lo scaricabarile: è avvenuto a mia insaputa, me lo ha presentato Bonafede, io non lo conosco, è successo alle mie spalle, io non ho preso soldi, sono estraneo ai fatti, mi sento ferito, sono parte lesa. Tirano fuori le scuse degli imberbi irresponsabili come se la culpa in eligendo e quella in vigilando non costituissero gravi mancanze per un amministratore pubblico o come se essere onesti e non accettare mazzette bastasse a salvare la faccia.
Quand’anche Virginia Raggi fosse la candida Biancaneve, questo non la esimerebbe dalla grave colpa di essere profondamente inadeguata a fare il sindaco di una città difficile come Roma sia perché totalmente incapace politicamente sia perché troppo spesso questa fantomatica Biancaneve finisce in balìa dei sette ladroni. I sondaggi dicono che l’ubriacatura grillina si avvia lentamente al crepuscolo perché la gente inizia a comprendere che le mani pulite non bastano ma ci vuole anche una sana capacità di sapersele sporcare dimostrandosi in grado di fare cose. La favola degli splendidi ragazzi al potere comincia a incamminarsi verso un triste epilogo. La gente inizia a comprendere che siamo tutti bravi a mettere in croce Ignazio Marino o Gianni Alemanno quando siamo all’opposizione, ma che l’atteggiamento spocchiosetto da Savonarola poi ci passa quando le scelte incombono e la poltrona ci scotta sotto le terga. E allora abbassiamo la cresta, ci facciamo venire il volto affranto, lo sguardo perso nel vuoto, il colorito terreo e il cagotto da stress.
E siccome non è che Virginia Raggi sia sotto la media dei Cinque Stelle, vien da pensare che stia facendo la figura del sindaco pirla solo perché ha iniziato a dare prova delle proprie capacità prima degli altri. E te ne accorgi dal fatto che i suoi colleghi di partito finiti al Governo – facendo tesoro delle figuracce rimediate da Virginia – abbiano assunto un atteggiamento circospetto, ingessato ai limiti dell’etereo. Non li vedi e non li senti. Ogni tanto qualche dichiarazione generica di intenti, ma comunque profilo basso. Nel dubbio non fanno nulla così almeno non fanno cappellate: peccato però che il “Governo del Cambiamento” sembri più un Governo Salvini che un Governo in cui l’azionista di maggioranza è Luigi Di Maio. E allora li vedi che ci rimangono male e che vorrebbero competere con il leader lumbard sulle cose concrete ma proprio non sanno da dove cominciare.
Questa sentimento di impotenza è destinato a crescere proporzionalmente alla perdita di consensi e la mortificazione – si sa – sfocia sempre in un fallo di frustrazione: faranno cadere il Governo o impareranno a nuotare in mare aperto? Noi non abbiamo molti dubbi e crediamo che in prospettiva – cioè quando Di Maio & Company avranno definitivamente fatto la figura dei polli e Matteo Salvini quella del gigante per differenza – i Cinque Stelle ostacoleranno l’alleato fino a costringerlo a far cadere il Governo. È l’unico modo per limitare i danni.
Aggiornato il 21 giugno 2018 alle ore 11:10