Il virus democratico del populismo

Nel corso di una recente puntata di “Otto e Mezzo”, talk-show condotto da Lilli Gruber, si è svolto un interessante e piuttosto istruttivo dibattito tra due noti giornalisti: l’arcipopulista Luca Telese e l’antipopulista Claudio Cerasa.

In estrema sintesi, nel confronto sono emerse con grande chiarezza le diverse impostazioni che separano in modo assolutamente dicotomico i due grandi filoni democratici che continuano a confrontarsi da tempo, spesso in modo trasversale, sulla scena politica italiana. Da una parte l’idea, sostenuta da Telese, che identifica il popolo, sempre depositario della verità, come un blocco unico e distinto dalla cosiddetta classe politica. Classe politica il cui principale e quasi finalistico scopo sarebbe quello di uniformarsi in ogni modo possibile ai desiderata, legittimi per definizione, del popolo medesimo. Ma quando questo non accade, ossia quando chi governa fallisce l’obiettivo di costruire la società perfetta fondata sull’uguaglianza assoluta, è inevitabile che gli stessi cittadini delusi si orientino verso chi, ad esempio il Movimento 5 Stelle, sembra avere tutte le carte in regola per trasformare in moneta sonante la grande aspettativa democratica di un futuro regno dell’oro.

In pratica per chi la pensa come Telese, cioè una buona parte dell’elettorato attivo a quanto dicono i numeri, attraverso l’esercizio del voto il popolo potrebbe raggiungere qualunque obiettivo e, aspetto fondamentale, deliberare a maggioranza su ogni cosa e senza alcun limite.

Ebbene a questa visone decisamente totalitaria della democrazia, che qualcuno in passato definì argutamente come la dittatura delle maggioranza, si è brillantemente contrapposto il direttore de “Il Foglio”, esprimendo un punto di vista laico e liberale e per questo, mi si consenta di dirlo, decisamente più ragionevole rispetto ai sogni utopistici e un po’ sinistri del suo interlocutore. A parere di Cerasa, infatti, la democrazia che funziona è una democrazia che pone dei limiti di competenza e di conoscenza all’idea populista di poter deliberare su ogni cosa, ribaltando sulla base della forza numerica ogni principio di autorità, di autorevolezza, di gerarchia e di merito, così come sta accadendo in molti settori della società attraverso l’uso della tanto decantata democrazia diretta, veicolata per mezzo della rete dei social network.

In questo senso, nella evidente propensione dei grillini a bypassare l’aspetto più significativo delle nostre democrazie liberali, ovvero il meccanismo della rappresentanza parlamentare incardinato nell’assenza di qualunque vincolo di mandato, sostituendolo con un indistinto assemblearismo virtuale, Cerasa individua molto correttamente un serio pericolo.

Al pari di quest’ultimo, e lontano anni luce dal populismo di Telese, credo anch’io che interpretare l’esercizio del voto come una sorta di infallibile giudizio divino sia irragionevole, soprattutto quando tale giudizio viene richiesto su questioni talmente complesse, pensiamo all’infinita diatriba sulla moneta unica, la cui approfondita conoscenza sarebbe affatto necessaria per deliberare. Soprattutto quando si fa parte, ci piaccia o no, di un’economia mondiale globalizzata, in cui gli Stati più indebitati come il nostro debbono fare i conti con il giudizio dei creditori, interni ed esteri che siano, la democrazia di Telese e dei tanti populisti in servizio attivo permanente incontrerà sempre un ostacolo insormontabile ai loro sogni di gloria.

Semmai si riuscisse a far nascere un governo che rincorra democraticamente ogni bisogno, accogliendo qualunque richiesta proveniente dal popolo sovrano, i soldi degli altri per sostenerlo sarebbero già praticamente finiti. E di fronte a questo vincolo non c’è veramente populismo che tenga.

Aggiornato il 04 maggio 2018 alle ore 13:07