“Non è uno svuota carceri né un salva-ladri”. Per annunciare la sacrosanta riforma dell’ordinamento penitenziario che fa un passo in avanti, forse decisivo, in zona Cesarini, non si era mai visto un ministro della Giustizia, nella fattispecie Andrea Orlando, ricorrere alla categoria dello spirito della “excusatio non petita”. Quasi a scusarsi con i cittadini che cadono nell’inganno populista dei vari Grillo, Di Maio e Salvini. Che infatti non hanno perso l’occasione per riaprire una campagna elettorale permanente ad usum delphini.
A questo è ridotta l’Italia manettara “educata” dalla tivù privata di Urbano Cairo e dal quotidiano di Marco Travaglio. Nonché dalla pavidità di tanti altri giornali, piccoli e grandi, che non osano neanche scrivere che in fondo un ordinamento penitenziario che punti al recupero dei detenuti è molto più produttivo in termini di sicurezza sociale di quanto non lo sia un sistema penitenziario trasformato in una discarica antropica senza pietà per i detenuti e persino per il personale carcerario.
Una politica che si scusa di fare la politica e un giornalismo arrogante che pretende di dettare l’agenda dei nuovi barbari che avendo vinto le elezioni credono di potere fare e disfare il Paese a proprio piacimento. Per fortuna il 3 marzo già la Corte costituzionale aveva allargato da tre a quattro anni, anche nel residuo pena, i termini per il nuovo affidamento in prova.
E ha voglia la senatrice Anna Rossomando (Pd) nel dichiarare che “migliorare le condizioni di vita dei detenuti e dare impulso alle pene alternative dà concretezza ai principi costituzionali sulla funzione della pena ed è un modo per rendere le nostre comunità più sicure perché si abbatte la recidiva. Non si tratta quindi di alternative alla punibilità, ma di rendere efficaci le pene: alle inquietudini delle nostre comunità si può rispondere con gli slogan e investendo sulla paura, come fa Salvini, oppure come in questo caso occupandosene davvero”.
Ha voglia perché proprio Salvini, il personaggio tristo nominato e visto, ha già tuonato usando il termine “salva-ladri”. E ha già promesso che quando sarà al governo si rimangerà la riforma e ha già consegnato alla storia la banale frase secondo cui “chi sbaglia paga”. Possibilmente sempre quando sono gli altri a pagare. Una dialettica politica degna di un’animata discussione in un condominio o sul 64 barrato, l’autobus che dalla stazione Termini porta a San Pietro.
Di tutt’altro tono le reazioni di chi come Rita Bernardini si è battuta anche nel nome di Marco Pannella, con interminabili scioperi della fame, spesso insieme a migliaia di detenuti, e che adesso manifesta uno spiraglio di ottimismo. Soddisfazione espressa anche dagli avvocati penalisti che, in segno di protesta contro il rischio di una mancata approvazione, avevano anche scioperato, astenendosi dalle udienze il 13 e il 14 marzo scorsi.
Resta ora da completare l’iter per l’approvazione: bisognerà constatare quando il decreto sarà ritrasmesso al Parlamento per capire se saranno le Commissioni in nuova composizione dopo l’insediamento delle nuove Camere oppure la Commissione speciale in carica a doversene occupare. Sia come sia il dado è tratto e tornare indietro adesso sarà più difficile, con buona pace dei grillini e dei leghisti che si sentono i nuovi padroni d’Italia, in missione per conto di Dio.
Aggiornato il 17 marzo 2018 alle ore 08:04