Le recenti elezioni avrebbero dunque detto, con inoppugnabile chiarezza, che il 50 per cento (almeno!) degli Italiani è contro l’Euro e ostile nei confronti dell’Europa e del ruolo di Bruxelles e Strasburgo: anzi, a far conto dei numeri usciti dalle urne, tra Lega, Movimento 5 Stelle e frattaglie varie il totale dei “sovranisti” italiani, consapevoli o no, sarebbe anche più elevato: si potrebbe facilmente arrivare a un rotondo 80 per cento. E, visto che il filo-europeismo della gran parte degli altri nostri soggetti politici è, a essere generosi, molto fiacco se non puramente verbale, a queste pesanti percentuali si potrebbe contrapporre numeri a una sola cifra, diciamo tra l’1 e il 5 per cento. Del resto, senza doverci affidare a complicate somme e sottrazioni, come controprova semplice e affidabile potremmo avvalerci del risultato conseguito dall’unica lista che – sopra il nome di Emma Bonino – innalzasse il vessillo azzurro stellato di Strasburgo e Bruxelles e invocasse addirittura un “più Europa” impertinente e rischioso. Quanto ha ottenuto? Meno del pur striminzito 3 per cento necessario per consentire a un pugno di suoi esponenti di entrare in Parlamento.
Così, ora, l’Italia va ad aggiungersi alla lista degli euroscettici. Non ci sarà forse, come qualcuno ha pur profetizzato, una variante della Brexit, ed è troppo pessimistico immaginare l’Italia nell’orbita di Visegrád ma il mito di una Italia fedele all’idea di Altiero Spinelli è tramontato. Dobbiamo rassegnarci? Forse, a una più accurata lettura, certe cifre potrebbero essere ingannevoli. È probabile che i votanti per la Lega di Matteo Salvini condividano il suo determinato antieuropeismo, ma forse un’analoga constatazione sarebbe superficiale per quel che riguarda i grillini del Mezzogiorno, che hanno votato soprattutto, o in larga misura, per protesta contro l’abbandono del governo e l’insicurezza economica. Del resto, in questa campagna elettorale di tutto si è parlato, meno che di Europa o di programmi economici di qualche respiro.
Purtroppo, la voce, la presenza della lista “+Europa – Bonino” non sono state sufficienti. Ma sulle ragioni della sua sconfitta occorrerà ancora riflettere. Forse sarebbe stato possibile raggranellare il 3 per cento della soglia di sbarramento. Personalmente, ritengo che se Rita Bernardini avesse accettato la candidatura offertale, e se Marco Cappato non avesse rifiutato di presentarsi, l’obiettivo sarebbe stato raggiunto. E non solo perché Bernardini e Cappato, protagonisti di straordinarie campagne di stretto significato radicale, sono portatori, ciascuno, di un discreto bacino di voti, ma perché la lista avrebbe presentato una fisionomia più vasta, rappresentativa dell’intera storia radicale e pannelliana.
Il prossimo week-end sia Radicali Italiani, da cui provengono quasi tutti i candidati della lista +Europa, sia il Prntt, il partito in cui milita la Bernardini, tengono le loro assemblee. Discuteranno certamente delle elezioni, probabilmente presenteranno progetti e programmi per superare il momento, che è critico per gli uni come per gli altri. Conosco benissimo quanto sia forte la tendenza – da una parte come dall’altra – a respingere una simile proposta, ma provo ad immaginare quanto sarebbe fruttifero se almeno una delle giornate delle due assemblee vedesse un dibattito unificato, un confronto leale, davvero politico, propositivo, non inquinato da rancori e istinti vendicativi, inutili oltreché ridicoli, tra i due tronconi residuali di una eredità complessa e difficile ma di alto profilo – e forse ancora indispensabile al Paese. Altrimenti, il rischio dell’insignificanza potrebbe divenire realtà.
Aggiornato il 13 marzo 2018 alle ore 08:18