Nell’orgia di commenti sulle elezioni, la verità non detta o da qualcuno appena bisbigliata è che la Legislatura appena eletta è nata viva ma non è vitale.
Non esiste una maggioranza parlamentare, mentre i partiti che, aritmeticamente parlando, potrebbero formarla dichiarano di non volerla politicamente. Non saranno le sottigliezze levantine, nelle quali la peggiore Italia eccelle pro domo sua, a salvare una Legislatura nella quale i vincitori hanno la voglia dichiarata di governare ma il retropensiero di non poterlo fare a modo loro, non possedendone né la forza propria né il potere di coalizione. Un Governo dovrà essere insediato e una maggioranza, trovata. Le cose governative e parlamentari si trascineranno per quest’anno e per il prossimo, forse. Nel giro di due o tre anni gl’Italiani saranno richiamati alle urne da un Mattarella costrettovi spalle al muro, perché non esiste presidente della Repubblica che possa cavare dal Parlamento una maggioranza coesa quando le minoranze son l’una contro l’altra armate, convinte d’aver acquisito un incontestabile diritto di governare. Nuove elezioni a breve potrebbero portare allo sconquasso, perché l’elettorato, deluso e tradito, potrebbe sovvertire l’assetto politico rivoltandosi contro i partiti di oggi e scegliendo una formazione alternativa purchessia. Questo pericolo, che è immanente, sebbene i vincitori e gli sconfitti dell’ultima tornata elettorale, concentrati sul loro ombelico, non lo percepiscano, può essere scongiurato da loro stessi, specialmente dai due sicuri vincitori.
Se Luigi Di Maio e Matteo Salvini fossero due statisti anziché due capipopolo, ciò che appaiono almeno oggi nella luce della vittoria, e aspirassero davvero a rifondare la Repubblica, senza numeri ordinali che evocano cambiamenti mai avvenuti, dovrebbero promuovere e far approvare sùbito una nuova legge elettorale con collegi uninominali a doppio turno e ballottaggio non tra i primi due ma tra i primi tre candidati di collegio, vale a dire nella variante suggerita dal principe dei politologi, Giovanni Sartori. E senza premi di maggioranza d’alcun genere. Una siffatta legge elettorale ha il duplice pregio di abbinare al meglio gl’ideali d’ogni democrazia parlamentare: rappresentatività e governabilità.
Poiché M5S e Lega, non più Nord, sono all’evidenza, tra l’altro, lo stato nascente di quel bipartitismo mai realizzatosi in Italia e che o somiglia al modello anglosassone o non è (per funzionare il bipartitismo esige che i due partiti somiglino a due bottiglie vuote con differenti etichette, com’è stato detto), essi, con tale legge, non solo potrebbero giocarsela a viso aperto, legittimandosi reciprocamente e legittimando il sistema politico agli occhi di tutti, ma acquisirebbero il merito storico, da statisti appunto, di aver finalmente fatto compiere all’Italia il passo decisivo verso la stabilizzazione delle basi di una vera democrazia anziché perpetuare quell’oligarchia temperata dal voto che, non a caso, fu partorita da una troia, la femmina del porcello. Finalmente avremmo una maggioranza e un’opposizione degne del nome, originate da una competizione elettorale onesta e leale (nei limiti del possibile parlando di votazioni). E finalmente la lotta politica verrebbe pure “de-ideologizzata” al massimo, grazie al mutato contesto istituzionale in cui si svolgerebbe.
Una Legislatura tarata può tuttavia dare questo frutto, se principalmente Di Maio e Salvini capiscono che il momento di governare non è ancora venuto, mentre hanno a portata di mano l’atto che conferirebbe loro la consacrazione politica duratura, non effimera.
Aggiornato il 08 marzo 2018 alle ore 08:08